La campagna elettorale fa riemergere in Liguria il desiderio di ‘autonomia differenziata portuale’
L’appello ai candidati alla guida della Regione da parte di diverse personalità dello shipping riaccende il dibattito tra favorevoli e contrari
Sta facendo discutere il mondo della portualità ligure un appello lanciato nei giorni scorsi dalle colonne di Good Morning Genova ai candidati alle elezioni regionali da alcune personalità del settore e non solo, a proposito dell’opportunità di farsi portatori dell’esigenza di una modifica normativa che consenta al porto di Genova di trattenere una quota maggiore e significaticva del gettito fiscale generato.
Di seguito il testo, firmato da Andrea Acquarone, Mauro Barberis, Filippo Biolè, Giampaolo Botta, Alessandro Cavo, Maurizio Conti, Lorenzo Cuocolo, Titta D’Aste, Gian Enzo Duci, Stefano Fera, Andrea Giachero, Maurizio Maresca, Aristide Massardo, Massimo Maugeri, Arcangelo Merella, Giacomo Montanari, Marco Montoli, Paolo Pessina, Giovanni Spalla e Carlo Carlo.
È un fatto noto che il solo porto di Genova generi un gettito fiscale di circa 9 miliardi di euro all’anno, circa un terzo di tutta l’IVA dovuta alle importazioni, come frutto di attività che comportano per il territorio un peso, e problemi di congestione e usura delle infrastrutture che sono sotto gli occhi di tutti. V’è dunque una “specificità genovese”, rintracciabile nel corso dei secoli, dovuta al fatto che la ricchezza arriva in buona parte dal mare. Tuttavia, al giorno d’oggi, solo una quota minima di queste risorse resta sul territorio, che sopporta pertanto una servitù a beneficio dello Stato senza ricevere stabili contropartite in cambio.
È certo che negli ultimi anni lo scalo e la città hanno ricevuto somme ingenti per rimediare al loro ritardo infrastrutturale; non bisogna però dimenticare il recente passato, in cui tale ritardo ha assunto dimensioni drammatiche, né far finta di non vedere che i pur considerevoli trasferimenti di questi anni non saranno sufficienti a redimere la città dal suo isolamento e dal declino.
Perché ciò avvenga si rende necessario un investimento prolungato e strutturale a favore del territorio, per finanziarne lo sviluppo e riportarlo alla pari con le zone più dinamiche del Paese, facendo beneficiare, in definitiva, i conti dello Stato di un ritrovato dinamismo di uno dei vertici dell’antico triangolo industriale.
Diverse volte negli anni si è parlato dell’idea di trattenere una parte delle entrate fiscali generate dal Porto. Un meccanismo “automatico” è probabilmente impossibile da applicare per ragioni di uniformità con gli altri scali, è però possibile presentare le ragioni sopra descritte e avviare un discorso con le autorità centrali, seguendo la stessa logica e perseguendo lo stesso fine, ossia quello di ottenere trasferimenti annuali pari a una quota del gettito fiscale generato dal Porto. Superato il vincolo formale, si tratta di una pura volontà politica.
I firmatari di questo documento chiedono pertanto ai candidati degli schieramenti che si contenderanno il 27 e 28 ottobre il governo della Regione, di impegnarsi, nel caso fossero eletti Governatori, a chiedere l’apertura di un tavolo di discussione con le autorità centrali, per ottenere, come compensazione del peso sopportato dal territorio a beneficio del Paese, quel flusso consistente e stabile di risorse, necessario a completare il processo di rilancio di Genova e della Liguria.
A raccogliere prontamente l’appello (uscito quasi in contemporanea alla visita in Liguria del ministro per le Autonomie, Roberto Calderoli) è stato Marco Bucci, sindaco di Genova e candidato alla presidenza della Regione. “Mi sento di dire innanzi tutto grazie – ha scritto – ai firmatari dell’appello per il mantenimento del gettito fiscale del porto di Genova e sul territorio ligure. Grazie perché centrano due punti decisivi attorno ai quali ruoteranno tutte le scelte politiche della Regione, per quanto mi riguarda. Stiamo parlando della prima azienda della Liguria e della necessità delle infrastrutture che ha per crescere e per far crescere tutto il territorio. Se tante volte il tema delle risorse necessarie è lo scoglio più difficile da superare per realizzare le opere, è assurdo chela Liguria sia sempre pronta a dare quello che incassa ma non a ricevere quel che le spetta. Spero che l’esperienza e la credibilità che mi sono conquistato in questi anni, anche e soprattutto quando si trattava di andare a ottenere attenzione e risorse per la nostra terra, possa essere considerata la migliore garanzia dell’impegno che mi assumo nell’accogliere in toto questa richiesta. Sono sinceramente curioso di capire come potrebbe dire le stesse cose chi, da Roma maanche in questi giorni dalla Liguria, continua ad attaccare ogni minima forma di autonomia anche fiscale, chi urla all’Italia spaccata quando una regione chiede di poter amministrare almeno una parte della ricchezza che produce”.
Immediata la replica (apparsa sul sito della Cgil Liguria) da parte del Coordinamento regionale No Autonomia Differenziata – Comitato referendum contro autonomia differenziata Genova, secondo cui “contro il Ddl Calderoli per dire no all’autonomia differenziata sono state raccolte in Liguria 10 mila firme online certificate dal Ministero degli Interni e oltre 30 mila consegnate alla Corte di Cassazione. Il Sindaco di Genova dovrebbe sapere che il nostro territorio riceve più risorse dallo Stato di quelle che versiamo a Roma e che l’unica cosa che succederebbe con l’autonomia differenziata sarebbe quella di ridurre le nostre entrate. Se passasse la tesi sostenuta dal Sindaco, la Liguria non potrebbe neppure garantire servizi – già scalcagnati per la cattiva gestione – come scuola e sanità. Stessa sorte toccherebbe alle grandi infrastrutture che sono sostenute da risorse che non sono a bilancio della Regione né tanto meno del Comune. A questo punto Bucci dovrebbe spiegare come si pagano le infrastrutture sociali, tecnologiche e logistiche sulle quali si auto vanta di essere l’uomo del fare”.
Per dire la sua è intervenuto anche Luca Becce, past president di Assiterminal, scrivendo: “Ho letto con attenzione l’appello dei 20 sull’Iva e il porto. Io ho sempre sostenuto che i porti, e il porto di Genova in primis, svolgano una funzione generale per l’economia e la loro governance debba essere quindi coerente alla loro funzione. Quindi nazionale nel quadro europeo. Questo non vuol dire che nelle località sede di porto non debbano essere destinate risorse specifiche. Anzi. E questo vale ancora di più in sistemi portuali dell’importanza del sistema ligure. Gli investimenti nazionali devono essere dedicati ai porti, sia al loro funzionamento (i dragaggi ad esempio devono essere manutenzione ordinaria e uscire dalla logica capex) che al potenziamento dei loro collegamenti con i mercati (vero punto debole della portualità italiana e di Genova e Savona in particolare). E devono tenere conto, a cominciare dai PRP, delle interferenze tra porto e città. E tutto questo non è ancora vero, se, come evidente, non si superano le contraddizioni insite nel riformato titolo V della Costituzione e se la stessa riforma Del Rio giace sostanzialmente inattuata. (A parte la contraddizione in essa insita relativa a una presenza eccessiva degli enti locali nei comitati di gestione). Ma la proposta di dedicare con automatismi percentuali del gettito Iva alle località sede di porto non mi convince e mi sembra rivelatrice, al di là delle intenzioni dei proponenti, di una idea che vede il porto come un disagio per la,città da cui discende l’esigenza di un risarcimento. Il porto di Genova è innanzitutto una garanzia di ricchezza della città e il risarcimento alla stessa è garantito dalle migliaia di buoni posti di lavoro diretti e indiretti che crea, che generano gettito fiscale anche locale, così come dal rendere Genova e Savona protagoniste dell’economia italiana. Ancora una volta, quindi, una soluzione seppur vagamente localista non mi convince. I porti sono un bene nazionale, lo Stato deve gestire il demanio portuale in un rapporto con i privati capaci di investire e di generare traffici”.
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