“Il Mar Mediterraneo base di un consolidato cluster marittimo portuale tra i più solidi a livello globale”
Secondo Duci l’Italia è piattaforma geografica al centro del Mediterraneo, ma non è in alcun modo una piattaforma logistica; Piano Mare e Piano Mattei sembrano voler esaltare queste potenzialità
Pubblichiamo la versione in lingua italiana dell’articolo di Gian Enzo Duci, introduzione del Dossier ISPI, da lui curato, “Navigating Challenges: Temporary Troubles or the New Normal for Mediterranean Logistics?” presentato durante i recenti “Rome Med Dialogues” aperti dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Negli anni recenti, la vulgata geopolitica comune era sembrata cambiare progressivamente approccio al Mar Mediterraneo, da libero e pacifico mare di mezzo tra continenti, culle di civiltà variegate (Europa, Asia ed Africa), a via di collegamento commerciale (Medio Oceano) tra gli Oceani Indiano ed Atlantico. Un esempio chiaro di tale atteggiamento lo si può osservare comparando la cartografia ufficiale cinese della Belt & Road Initiative: nella prima versione, quando ancora veniva denominata Nuova Via della Seta, la linea partente dalla Cina terminava a Venezia, nell’ultima versione la linea entrava a Suez e proseguiva senza toccar terra fino a Gibilterra per poi perdersi nell’Atlantico.
In questo mare di transito, il ruolo chiave era svolto dai choke points (Gibilterra e Suez, in primis) in un contesto di portualità, descritta come, diffusa e poco efficiente e in un clima di subalternità politica agli interessi dei Paesi del Nord Europa (dotati, loro sì, di pochi porti grandi ed efficienti). Il progressivo disimpegno da parte della Marina Militare statunitense, garante per più di mezzo secolo dell’ordine costituito, ma ormai sempre più focalizzata sull’Indo-Pacifico, ne erano la consequenziale prova del nove.
In uno scenario simile, in cui ben il 30-40% di quel 12% di traffici mondiali che dal Mediterraneo (l’1,5% delle acque globali) passava, lo faceva senza toccarvi alcun porto (quale via più rapida nel collegamento tra Asia, Nord Europa e Nord America), molti pensavano che la crisi del Mar Rosso, iniziata il 19 ottobre 2023, con il primo attacco Houthi ad una nave commerciale, avrebbe messo in ginocchio la blu economy dell’area.
A distanza di poco più di anno, la lettura dei dati ci danno un quadro diverso da quello che ci si sarebbe potuto aspettare. A differenza di come pronosticato da Zeno D’Agostino, presidente di ESPO (European Sea Ports Organisation) pur non passando le navi da Suez (-49% il dato complessivo dei primi nove mesi del 2024 con il picco di -71% per le portacontenitori), i porti del Mediterraneo non sono tornati al 1868, anno di apertura del Canale e il vecchio Mare Nostrum non si è trasformato in un lago chiuso.
Ad un occhio non container-centrico, il Mediterraneo appare, prima di tutto, non come mare di transito, ma come base di un consolidato cluster marittimo portuale tra i più solidi a livello globale:
- La “piccola” Grecia, come confermato nel recente “2024 Review of Maritime Transport” pubblicato dall’UNCTAD, rimane il primo paese al Mondo per proprietà di navi, sia per portata (16,9% della flotta, davanti a Cina, Giappone e Singapore), sia per valore delle stesse (11,8%, davanti a Cina, Giappone e Stati Uniti). Le sue navi, battenti bandiera nazionale solo per il 12,7%, sono le più presenti nei traffici bulk (sia solido che liquido) nei porti di ogni area del pianeta ed i suoi armatori sono unanimemente riconosciuti come i più capaci a leggere i mercati. Se si dovesse scegliere chi è la “commercial ship power” a livello globale, la Grecia, probabilmente concorrerebbe da favorita.
- Le ancor più piccole Malta e Cipro hanno organizzato una struttura amministrativa per la registrazione delle navi da fare delle loro bandiere la prima e la terza in Europa (la seconda, è, comunque la Grecia), ben davanti a Paesi a più storica vocazione marittima quali il Regno Unito o la Norvegia. Le due isole-nazione mediterranee si stanno dimostrando capaci di competere per efficienza e servizio con le principali bandiere di convenienza al Mondo (Malta è la settima per tonnellaggio registrato). Tra l’altro, l’introduzione della Global Tax sta spingendo diversi colossi armatoriali, in passato basati in paradisi fiscali, a rilocalizzarsi realmente in questi paesi.
- Il porto marocchino di Tangeri, al mondo, oltre a essere l’unico porto mediterraneo nei primi 20 nel settore container (tra i soli 4 fuori dall’Asia), è forse l’esempio più riuscito di collaborazione pubblico privato nella creazione di un centro industrial logistico, dopo le Zone Economiche Speciali cinesi degli anni ’90.
- Il settore crociere ha nel Mediterraneo il suo secondo mercato globale per area di impiego delle flotte e nell’Italia il primo paese costruttore di navi (34,3% del mercato globale, secondo i dati SACE), primato che si ripete nella produzione ed export di yacht di medio grandi dimensione (23,2%).
- Sono italiani tre dei primi quattro operatori Ro-Ro al mondo (leader il gruppo Grimaldi di Napoli), con i traffici merci via traghetto che sono cresciuti, nell’ultimo decennio, nel nostro Paese, più di qualunque altro settore.
Anche lo stesso settore container, comunque, per quanto impattato seriamente dal blocco di Bab Al Mandeb, ha dimostrato una capacità di adattamento e riorganizzazione molto rapida. I traffici che seguono la rotta dal Capo di Buona Speranza e non passano più da Suez si sono distribuiti, in logica transhipment, tra i porti più vicini a Gibilterra (Tangeri, Barcellona, Valencia, arrivando ad interessare finanche Marsiglia e Genova) per poi essere distribuiti con navi feeder nel Mediterraneo orientale, dove l’effetto Houthi (sommato alla crisi del Mar Nero) ha, comunque, avuto gli effetti maggiori (si pensi al calo di traffico del Pireo, malgrado il suo controllo cinese, o ai porti adriatici). I porti mediterranei stanno sfruttando l’attuale crisi per ripensarsi e per allargare il proprio fronte d’azione (si pensi ai porti quali hub energetici, ad esempio).
Non sfugga, inoltre che due dei primi tre global liner del settore container (dove 4 su 5 – MSC, Maersk, CMA CGM e Hapag Lloyd – sono europei), siano a tutti gli effetti da considerare mediterranei: per nome, proprietà ed interessi prevalenti, la ginevrina MSC e per sede e controllo la francese, basata a Marsiglia, CMA CGM. L’orderbook ai cantieri di nuove navi, lascia ipotizzare che proprio i due Liners mediterranei saranno i leader globali a partire dal 2026 (MSC è già oggi la prima al mondo) e l’alleanza “Gemini” tra la danese Maersk e la tedesca Hapag Lloyd è stata letta da molti, anche nel nome, come una difesa dei due carrier nord-europei spinti in un angolo dai competitor latini.
E’ interessante notare come la tanto vituperata integrazione verticale dei vettori marittimi che hanno sfruttato gli enormi profitti generati negli anni del Covid per acquisire terminal e società di servizi di terra, sembri essere una fonte di radicamento sul territorio: si pensi alla crescita di traffico, nel primo semestre 2024, a Gioia Tauro derivante dalla scelta strategica del suo concessionario MSC di anestetizzare il mancato passaggio da Suez continuando ad usare per le proprie navi il porto calabrese quale hub di transhipment.
Dopo anni di spalle rivolte al mare (si legga al riguardo l’illuminante “L’Italia ha paura del mare” di Francesco Maselli, edito da NR), l’Italia sembra avere, per la prima volta in epoca repubblica, riscoperto una propria vocazione mediterranea, con un sguardo attento a quanto succede sulla sponda sud del Mare Nostrum. Il Piano del Mare e il Piano Mattei sembrano delineare con coerenza una visione del nostro Paese quale mix tra Port e Sea Power.
L’Italia è piattaforma geografica al centro del Mediterraneo, ma non è in alcun modo una piattaforma logistica. Le dorsali montuose che dividono il Nord dai Paesi confinanti e l’Appennino che rende complesso e costoso la movimentazione est/ovest delle merci (si pensi ai collegamenti Napoli-Bari, o Roma-Ancona), fa del nostro sistema portuale diffuso un asset tarato su esigenze reali di servizio ad economie locali con limitate opportunità di economie di scala. Solo la non conoscenza dei fondamentali del settore può consentire a qualcuno di confrontarlo con il sistema dei porti del Nord Europa, loro sì piattaforme logistiche scalabili dimensionalmente, con facilità di collegamento con un ampio retroterra servibile in pianura se non addirittura attraverso vie d’acqua (si pensi al Reno e al porto di Basilea).
Se la geografia quindi non ci favorisce rispetto ad essere al servizio del Nord Europa sulle grandi rotte intercontinentali est ovest, quando guardiamo a Sud il discorso cambia. August Comte diceva che la demografia è destino e la demografia ci dice di guardare all’Africa. Nel 1900, la popolazione europea era tre volte quella del Continente Nero. Nel 2037 è previsto che quella africana sarà tre volte quella europea (quattro volte nel 2047). Appare evidente che per quanto non si sia certi che il futuro dell’economia globale possa davvero essere in Africa, sicuramente, possiamo dire che per noi Mediterranei, dipenderà fortemente dall’Africa.
Lo sviluppo dei Paesi del Maghreb quale hub manifatturiero, metterebbe la nostra flotta Ro-Ro in grado di azzerare il vantaggio competitivo delle navi Lo-Lo portancontainer sulle lunghe distanze e i nostri porti in posizione privilegiata rispetto a quelli del Nord Europa. Il controllo e la gestione dei flussi migratori clandestini via mare da parte della nostra Guardia Costiera ha abbassato la tensione sociale sul tema, consentendo alla nostra politica di aggiungere angoli di visuale diversa sul dossier relativo all’altra sponda del Mare Nostrum. Le sei direttrici di intervento del Piano Mattei (istruzione e formazione, salute, agricoltura, acqua, energia e infrastrutture), da realizzarsi in un’ottica cooperativa e non predatoria, possono fondarsi su una dotazione economica (5,5 miliardi di Euro) senza precedenti e si integrano, in una logica di “mare che unisce le terre che divide” con le linee guida del Piano del Mare.
Mare che stiamo imparando a pensare più ampio e a guardare in ottica tridimensionale. Più ampio perché, se le rotte mediterranee sono messe in crisi da situazioni di guerra o tensione in mar Rosso e nell’Indo-Pacifico, quello diventa “Mediterraneo esteso” da presidiare. Tridimensionale perché quanto avviene sottacqua sta assumendo una importanza paragonabile a quanto avviene in superficie. I cavi sottomarini, le pipelines e il controllo della dimensione subacquea stanno vedendo il nostro paese assumere un ruolo di primogenitura nella normativa e di leadership tecnologica che trovano nella costituzione del Polo della Subacquea (13 dicembre 2023), coordinato dalla Marina Militare, la più plastica delle dimostrazioni. Il Canale di Sicilia è uno degli snodi chiave dei cavi sottomarini per la trasmissione dei dati e la sua sorveglianza diventa vitale per lo sviluppo del nostro Paese tanto più in un momento in cui la presenza militare diretta di paesi terzi (Russia e Turchia) in Libia e l’intraprendenza della marina militare algerina ci impongono un ruolo attivo nell’area.
E’ in questa prospettiva, probabilmente, che devono essere letto l’aggiornamento 2023-2028, fatto ad ottobre di quest’anno, sui traffici container fatta da Drewry: crescita globale 3%, crescita dell’intero Med 3,4% e crescita del Nord Africa 3,7%…a prescindere da Suez.
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER QUOTIDIANA GRATUITA DI SHIPPING ITALY
SHIPPING ITALY E’ ANCHE SU WHATSAPP: BASTA CLICCARE QUI PER ISCRIVERSI AL CANALE ED ESSERE SEMPRE AGGIORNATI