Con i nuovi dazi di Trump per l’Italia tante ombre ma anche alcune luci
I rischi per le imprese italiane al centro del dibattito nell’international Trade Talks con Giorgio Sacerdoti, Sara Armella, Enrico Perticone e Nicolò Andreini
Incertezza, instabilità, imprevedibilità ma forse anche nuove opportunità. Queste le indicazioni emerse dall’approfondimento dedicato a “Trump e i dazi: la guerra commerciale e l’impatto sul Made in Italy” organizzato da Arcom Formazione al quale hanno partecipato Giorgio Sacerdoti (Università Bocconi), Sara Armella (Studio Armella e associati e International Chamber of Commerce Italia), Enrico Perticone (Università di Chieti e Pescara) e Nicolò Andreini (Confindustria Trento).
Partendo dall’analisi dei numeri in Italia ci sono 120.876 imprese esportatrici e 95.774 importatrici; le misure restrittive del commercio internazionale sono aumentate di 3,5 volte rispetto al periodo pre-pandemico, anche in conseguenza delle sanzioni adottate dai Paesi Nato a seguito dell’invasione dell’Ucraina. Le misure protezionistiche nel 2024 sono state 2.808 tra dazi, sanzioni e quote.
L’Italia sarebbe tra i Paesi più colpiti dall’applicazione di dazi Usa sui prodotti europei. Come sottolinea un rapporto di Confartigianato gli Stati Uniti rappresentano infatti il secondo mercato, dopo la Germania, per il maggior valore del nostro export (66,4 miliardi, pari al 10,7% del totale) e hanno visto un boom delle nostre vendite (+58,6%, pari a 24,9 miliardi di euro) tra il 2018-2023. Nel 2024 il made in Italy ha conquistato il mercato statunitense soprattutto con i prodotti farmaceutici (+19,5%), alimentari, bevande e tabacco (+18%), apparecchi elettrici (+12,1%), macchinari (+3,7%), gomma, plastiche, ceramica e vetro (+3,2%), legno, stampa e carta (+2,4%). Ora l’imposizione di dazi addizionali, nelle ipotesi del 10% o del 20%, potrebbe far calare le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti, rispettivamente, del 4,3% o addirittura del 16,8%.
A risentirne sarebbero, in particolare, i settori con la maggiore presenza di micro e piccole imprese nella moda, mobili, legno, metalli, gioielleria e occhialeria che nel 2024 hanno esportato negli Usa prodotti per 17,9 miliardi di euro, con una crescita delle vendite del 3,9% tra gennaio e settembre dello scorso anno. In particolare, aumenti consistenti dell’export si sono registrati per i prodotti alimentari (+24,1%), del legno (+6,4%), dei mobili (+4,2%) e dell’abbigliamento (+3,5%).Nel primo mandato dell’amministrazione Trump, a partire dal marzo 2018, sono stati introdotte tariffe aggiuntive su molte eccellenze del nostro export, come vino, olio, pasta, formaggi Made in Italy, oltre ad acciaio e alluminio, a cui l’Europa ha risposto imponendo un incremento delle tariffe su prodotti agricoli, motociclette e bourbon.
Quello che sta evolvendo è “uno scenario da non sottovalutare per le imprese italiane” secondo Armella, che però ricorda come anche dopo la precedente tornata di dazi nel 2018 “i produttori italiani seppero rialzarsi e trovare nuovi mercati di destinazione, anche modificando le proprie strategie sulle supply chain in esportazione. Secondo alcuni studi di scenario le misure protezionistiche preannunciate (10 o 20% di dazi per le merci dall’Europa) potrebbero tradursi in un decremento del 16% annuo delle esportazioni italiane in termini di volumi (1% del Pil) con un’incidenza maggiore in settori come i macchinari, macchine industriali, il settore farmaceutico, il chimico e l’automotive”. Secondo il direttore scientifico di Arcom Formazione “paradossalmente potrebbero beneficiarne le importazioni di prodotti cinesi verso gli Usa, sia perché la Cina ha una sovraccapacità produttiva che deve in qualche modo poter gestire verso altri mercati di destinazione, sia perché potrà gestire diversamente questa situazione svalutando la moneta per incentivare l’export dei propri prodotti”.
Secondo Sacerdoti “il consumatore americano pagherà più caro i prodotti finiti ma anche le imprese americane pagheranno di più le forniture che arrivano dall’estero. Potranno esserci delle ritorsioni europee con dei contro-dazi ma questo sarebbe un gioco a risultato nullo, oppure ci saranno dei negoziati. Magari l’acquisto maggiore di prodotti americani; per esempio il gas naturale liquefatto invece che acquistarlo dal Golfo Persico o dal Nord Africa. Il risultato pratico è che ci sarà una grande incertezza per le imprese, non è facile trovare altri mercati di sbocco che possano sostituire gli Stati Uniti ed è proprio questa la forza della minaccia di Trump”.
Perticone ricorda che dal 2018 in poi le maggiori difficoltà pronosticate per le imprese italiane a conti fatti non si sono verificate. “Nel 2023 il dato sull’export italiano verso gli Usa era di 67 miliardi di euro, nel 2016 eravamo a 37 miliardi, per cui è cresciuto più dell’80% a fronte di una crescita sul mercato mondiale complessivamente di 40 miliardi. Nel 2018 questo export valeva 42 miliardi, nel 2019 è salito a 45 miliardi, nel 2020 c’è stata una flessione per il Covid ma poi si è visto un ritorno a 49 miliardi nel 2021. A consuntivo, quindi, l’export italiano verso gli Stati Uniti nonostante le difficoltà ha tenuto”.
“Va detto, però, – aggiunge – che i dazi del 2018 erano strettamente confinati a fattori produttivi come l’alluminio e l’acciaio e ad altri settori merceologici. Oggi, invece, si potrebbe parlare di altro ma lo potremo verificare solo prossimamente. L’instabilità, l’imprevedibilità e l’incertezza oggi sono la cifra del contesto all’interno del quale devono muoversi le aziende italiane, europee e mondiali”.
Andreini (Confindustria Trento) ha posto l’accento sul fatto che “l’industria sta imparando a differenziare il proprio export grazie anche all’esperienza degli avvenimenti geopolitici degli ultimi anni che hanno stravolto o ridimensionato mercati importanti per l’Italia come Iran, Russia e in prospettiva, eventualmente, la Cina”. Secondo il rappresentante degli industriali “nuove opportunità di export nascono sicuramente dall’iniziativa dei nostri imprenditori ma sono anche concretamente favorite dagli accordi di libro scambio. Dopo gli ultimi free trade agreement firmati, il recente accordo Mercosur dello scorso dicembre, quando e se sarà ratificato ed entrerà in vigore, potrà aprire al nostro commercio importanti mercati, fra cui quello brasiliano, che al momento sono molto rigidi perché altamente protetti. Si tratta di nuovi mercati che evidentemente non sarebbero in grado di assorbire, almeno nel breve-medio periodo, la consistente quota di export europea verso gli Usa ma confermano lo sforzo politico e imprenditoriale dell’Unione Europea di ampliare la propria operatività commerciale in un momento in cui il protezionismo cresce”.
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