Broker marittimi genovesi pronti a considerare opportunità di integrazioni e fusioni per crescere
Taragoni (Nolarma) e Messina (Assarmatori) fra i più convinti promotori di un appello per fermare la fuga di professionisti all’estero: “Serve una dimensione maggiore per avere più business da lavorare”

Genova – “Guarire dalla ‘sindrome da scagno’ tipicamente genovese” e valutare “la possibilità di creare alleanze e integrazioni” fra società di brokeraggio marittimo, perché i giovani broker scelgono di andare all’estero a lavorare “dove trovano maggiori opportunità di business” e quindi gratificazione professionale ed economica. È questo il messaggio, o forse sarebbe meglio dire l’appello, emerso dal convegno intitolato ‘Brokers marittimi: allarme cervelli in fuga’ organizzato da Assagenti a Genova e al quale hanno partecipato alcune delle principali società d’intermediazione marittima fra cui banchero costa, Nolarma Chartering, H.B. Shipping, Genoa Sea Brokers, Trafalgar Shipping e altre.
Il dato di fatto da cui ha preso origine questo appuntamento, fortemente voluto dal vicepresidente dell’associazione Maurizio Gozzi, è che “in questi anni un numero significativo di broker sono stati formati bene a Genova ma sono poi andati a lavorare all’estero senza tornare. Oggi ci sono 30enni e 40enni nostri connazionali al vertice di società petrolifere di Stato che noleggiano navi o in primarie società di brokeraggio o di trading”. L’obiettivo, per usare le parole di Gian Enzo Duci (Esa Group e Università di Genova), dovrebbe essere quello di “provare a riportare a Genova broker che hanno fatto ricchezza e acquisito esperienza all’estero”. Dato per appurato anche il fatto che oggi, rispetto ai tempi in cui il giovane Lorenzo Banchero (fondatore recentemente scomparso di banchero costa) poteva andare a visitare personalmente in città oltre 80 armatori, di shipping company in Liguria ne sono rimaste pochissime, pare non essere tanto (o solo) una questione di fiscalità agevolata (semmai di certezza del Fisco), quanto semai di opportunità professionali.
“Oggi il modello boutique non funziona più; il tema delle dimensioni anche nel brokeraggio navale conta. Un quarto dei broker attivi a Genova sono di banchero costa che ne ha 80 ma all’estero altre aziende medie ne hanno centinaia di broker ciascuna. Concentrarsi su un singolo cliente è un modello superato” ha sottolineato Duci.
Secondo Gozzi (H.B. Shipping) manca una strategia industriale a livello nazionale. “I nostri ragazzi – ha detto – sono molto ambiti e ricercati dalle società straniere perché la formazione a Genova è di altissimo livello grazie all’Università e ad Assagenti. Le aziende investono per formarli ma poi in molti casi li perdono”. Il vicepresidente dell’associazione auspicherebbe anche un ricorso maggiore ai broker italiani da parte delle aziende di Stato come Eni, Acciaierie d’Italia e altre, evidenziando come, “nel caso della gestione della flotta di navi ex-Ilva, un professionista che conosce il mercato avrebbe consentito loro di ridurre la spesa pubblica suggerendo un management migliore e più profittevole del naviglio rimasto per mesi inattivo”.
Un primo appello a nuove alleanze e integrazioni è arrivato da Stefano Messina (Assarmatori), che ha concordato nel sostenere che “piccolo non è bello, la dimensione dell’aziende oggi è un fattore critico”; ma ha anche sottolineato che “in Italia manca la domanda per i broker marittimi. Non credo che la causa sia una mancanza di strategia industriale, la perdita di broker la vedo come conseguenza dell’andamento dell’economia del mare. Per questo serve una strategia nazionale per favorire industria e logistica per far aumentare i volumi di merci” da trattare. Poi l’invito a “valutare concentrazioni e acquisizioni se non è un limite. Broker alleatevi – ha proseguito – fate della dimensione, della finanza e della crescita un elemento di competitività. A Genova ci sono eccellenze ad esempio nel brokeraggio dei traghetti, ma funzionano perché operano nelle nicchie”.
Edoardo D’Andrea (Confitarma), ex broker marittimo per società armatoriali e per aziende petrolifere, in passato ha lavorato a Londra e, a proposito dei grandi poli dello shipping come ad esempio Ginevra, ha evidenziato “l’opportunità di stare all’interno di un determinato cluster e poter parlare ogni giorno con quei famosi 81 armatori che oggi a Genova non ci sono”. Anche perché “i broker italiani sono fra i migliori. Anche nell’interpretazione dei charter party che è importantissima”. Ma “con Petrochina non puoi lavorarci se non sei nel segmento delle petroliere VLCC e se non hai uffici a Houston e a Singapore. Il mercato è cambiato: a esigenze globali vanno date risposte globali”.
Da Fulvio Carlini, broker e agente marittimo, nonché attuale presidente di Fonasba, è arrivato un appello rivolto soprattutto alla deregulation della categoria: “Ci serve davvero una legge protettiva o sarebbe meglio avere costi più competitivi?” ha domandato.
Particolarmente vivace ed efficace è stata la conclusione della tavola rotonda durante la quale Mario Taragoni (Nolarma) ha detto: “I broker vanno via, non perché li paghiamo poco o perché a Ginevra si lavora meglio, ma perché altrove hanno del business che qui non hanno. In Italia solo banchero costa è strutturata a un certo livello e in un certo modo a livello internazionale. Dovremmo parlarci di più, collaborare, fare società insieme, alleanze in settori diversi; noi ad esempio non siamo attivi nel gas, nel dry bulk, nelle assicurazioni. Pensare fuori dagli schemi e a fare qualcosa di diverso rispetto a ieri; dobbiamo smettere di pensare ad aziende casa-bottega. Mettendoci insieme potremmo avere più business da lavorare e ognuno di noi dovrebbe riuscire a prendere qualcosa di più da chi gli sta affianco. Dove non tocchiamo palla è per colpa nostra, non degli altri”.
Taragoni, però, puntualizza anche che “nessuno è disposto e interessato a trasformare un’azienda piccola che guadagna in una più grande che perde”; quindi aggregazioni e collaborazioni hanno motivo di esistere se portano dimensione e guadagno.
Umberto Novi di Genoa Sea Brokers (azienda rilevata alcuni anni fa da Cambiaso Risso Marine), ha raccontato la propria esperienza dicendo: “Ho iniziato a Genova pur avendo la possibilità di andare all’estero per portare avanti l’azienda di famiglia (Burke&Novi, ndr). Non è andata come speravo e ho dovuto lasciare”. Nel 2019 aveva aperto Fortsea Shipping Srl e poi è entrato a far parte del gruppo Cambiaso Risso “dove in effetti – ammette – la possibilità di far parte di un network internazionale, offre opportunità che il piccolo broker di nicchia da solo non può raggiungere. Il 99% dei broker genovesi oggi lavorano con trading house e controparti estere, siamo ben voluti e riconosciuti dalle trading house internazionali ma abbiamo problemi di economie di scala”.
Può Assagenti farsi promotore di un tavolo per un confronto permanente finalizzato alla creazione di un pool, di una joint venture o di altro per la collaborazione fra società di intermediazione marittima? “Penso di sì, soprattutto per i giovani” è stata la risposta di Leonardo Nicolosi (Gruppo Giovani Assagenti e Trafalgar Shipping). “Hanno mentalità diversa, sono entusiasti e hanno voglia di fare” ha aggiunto.
Gozzi in conclusione ha rilevato che “tanti broker hanno partecipato al convegno, i broker genovesi sono preparati e abbiamo gettato le basi per parlare di aggregazioni in futuro”.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo Assagenti.
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