Assoporti al lavoro per cambiare il modello delle port authority: tre alternative sul tavolo
Ormai sembra non esserci più dubbi sul fatto che i porti italiani nel prossimo futuro dovranno essere governati da soggetti diversi rispetto alle port authority esistite dal 1994 fino a oggi sottoforma di enti pubblici non economici. Tanto che Assoporti, l’associazione italiana che rappresenta le Autorità di sistema portuale, ha appena visto nascere un’apposita commissione […]
Ormai sembra non esserci più dubbi sul fatto che i porti italiani nel prossimo futuro dovranno essere governati da soggetti diversi rispetto alle port authority esistite dal 1994 fino a oggi sottoforma di enti pubblici non economici. Tanto che Assoporti, l’associazione italiana che rappresenta le Autorità di sistema portuale, ha appena visto nascere un’apposita commissione che avrà il compito nei prossimi mesi di studiare quale potrà essere il migliore assetto organizzativo e formale, soprattutto dal punto di vista della natura giuridica, per gestire le banchine italiane.
Lo ha rivelato in occasione del VIII Forum Shipping & Intermodal Transport proprio il presidente di Assoporti, Rodolfo Giampieri, affrontando il delicato tema dell’imposizione fiscale sull’attività d’impresa svolta dalle port authority richiesta da Bruxelles e per il quale le AdSP italiane (ma non il Governo attraverso il Ministero dei trasporti) si è appellata al tribunale dell’Unione Europea. Dal confronto è emerso in primis che un cambiamento dell’attuale assetto giuridico delle port authority sembra essere ormai inevitabile e al contempo c’è da registrare come stia aumentando il numero di presidenti favorevoli al modello di Società per azioni a controllo pubblico. L’alternativa potrebbe essere l’ente pubblico economico o ancora il potenziamento dell’ordinamento speciale attribuito alle port authority con la riforma del ’94 ma rimasto nei fatti lettera morta.
Giampieri è intervenuto dicendo: “Siamo in una situazione molto delicata. Tutte le AdSP hanno fatto ricorso e fra poco saremo nella fase dibattimentale”. Da Bruxelles “viene contestata una impostazione che mette in discussione la portualità italiana. Non possiamo subire un diktat dell’Europa, dobbiamo essere consapevoli se questo modello funziona e rende competitivo e degno il lavoro delle aziende. Serve mettere in campo la Politica con la P maiuscola perché l’interesse nazionale e della competitività del sistema portuale italiano dev’essere superiore”.
Quale modello di port authority ha in mente per il futuro il presidente di Assoporti? “Il modello attale va migliorato e cambiato, riscoprendo lo spirito della legge 84/94 che dava alle autorità portuali un’autonomia finanziaria e amministrativa molto superiore, in grado di dare al mercato le risposte che merita. Quella riforma è stata mortificata da leggi e decreti successivi che hanno impastoiato la necessaria flessibilità per decisioni indispensabili. Un porto oggi è pare integrante di una filiera più ampia; senza quella flessibilità perdi di efficacia, di valore e di futuro”.
È d’accordo sull’urgenza di cambiare l’assetto giuridico degli organi di gestione dei porti anche Pasqualino Monti, presidente dell’AdSP del Mare di Sicilia Occidentale: “Se si vuole che l’autorità sia elemento di mercato nel mercato allora c’è bisogno di cambiare il modello. Ho parlato recentemente di modello spagnolo ad esempio perché ha saputo cambiare rispetto al passato: c’è un elemento centrale (Puertos del estado, ndr) e un elemento periferico (Barcellona partecipata agli utili dei suoi terminal, Valencia ha una fondazione che fa di tutto…). In Italia le norme a cui facciamo riferimento sono spesso interpretabili. C’è un apparato burocratico devastante. Riforma della burocrazia, riforma della giustizia e della portualità sono necessarie”.
Paolo Emilio Signorini, vertice della port authority che governa gli scali di Genova e Savona, non ha dubbi sulla necessità di trasformare le Autorità di sistema portuale “in Società per azioni, con modello corporate, strutturata dunque come società di capitali, con una manovrabilità migliore e mantenendole a controllo pubblico”. Lo stesso Signorini rileva che anche altri suoi colleghi si stanno ricredendo: “Cinque anni fa c’era un’ostilità diffusa verso il cambiamento; ora invece, parlando anche con gli altri presidenti in Assoporti, mi sembra che ci sia un’apertura per un cambiamento verso il modello ente pubblico economico o società di capitali. Sui tempi che serviranno per questa trasformazione non sono in grado di fare previsioni”. Signorini ha sottolineato come nel mondo le più importanti autorità portuali siano organizzate come Spa, in taluni casi (come in Regno Unito) gli scali sono completamento privatizzati, altrimenti sono sotto il controllo di istituzioni locali o centrali.
Chi vorrebbe limitare al massimo gli stravolgimenti rispetto all’assetto attuale è Mario Sommariva, vertice dell’AdSP del Mar Ligure Orientale, che riconsoce le necessità “di fare qualcosa con una certa urgenza” ma ricorda al tempo stesso che gli enti pubblici non economici che governano i porti sono a ordinamento speciale. “La mia idea è quella di andare a sviluppare il concetto dell’ordinamento speciale e ciò potrebbe, senza mutare la natura delle port authority, consentire di fare una serie di cose” ha detto Sommariva. “ad esempio “agire con maggiore libertà sulle partecipate, mantenere la loro natura, liberarla da alcuni vincoli (alcuni dei quali imposti dalla legge Madia), così come liberare la possibilità di ingaggiare figure professionali particolari. Basterebbe dare un’interpretazione ampia alla legge del 1994” dove le autorità portuali sono state appunto qualificate come enti pubblici economici a ordinamento speciale.
Vede “un grande bisogno di cambiamento” anche Fulvio Lino Di Blasio, presidente dell’AdSP del Mar Adriatico Settentrionale, che riconosce l’esistenza oggi di due schieramenti: quelli che vogliono fare evolvere il modello di port authority “mantenendo un legame con l’assetto esistente” o in alternativa “lavorare su una struttura societaria che sia disruptive e che vada a lavorare su tutti gli elementi che sono nodi. Sulla natura giuridica una seria riflessione va aperta” e, dovendo sbilanciarsi sulle varie ipotesi allo studio, ha affermato che la “Spa pubblica ibrida, con delle specificità forse potrebbe essere l’opzione migliore”.
Gian Enzo Duci, vicepresidente di Conftrasporto, ha posto però un interrogativo interessante: se, cioè, possa esistere un nuovo modello o assetto giuridico di autorità portuale valido per tutti gli scali italiani. “O in alternativa servirà avere forme di regolazione diverse per porti che vanno a velocità diverse?” ha domandato Duci. “Oggi porti diversi hanno uno schema organizzativo uguale che poi però deve andarsi ad adattare a contesti differenti. Si potrà mantenere questo modello o su dovrà ragionare su livelli diversi? Altri porti ‘secondari’ dovranno diventare ‘provveditorati dello Stato’ per poter ricevere fondi da Roma?”. Il problema non si porrebbe invece per quegli scali dove la tipologia e i volumi di traffico garantirebbero un sufficiente autofinanziamento attraverso la trattenuta di tutto o parte del gettito fiscale generato.
Giampieri ha concluso affermando che “la priorità è condividere gli obiettivi: flessibilità, agilità nelle scelte, acquisizione di professionalità nuove negli organici, risposte veloci alle imprese. Se condividiamo questo aspetto il vestito giuridico poi lo si crea. Prima bisogna avere degli obiettivi chiari su cui lavorare e poi costruire un vestito. Se fin dall’inizio abbiamo un vestito troppo stretto o troppo largo può non andare bene. Assoporti ha una commissione già pronta (appena nata) per andare ad analizzare un assetto giuridico da adottare”.
Sul tema, nella stessa occasione, è intervenuto anche Luigi Merlo, presidente di Federlogistica ed ex numero uno dell’Autorità portuale di Genova, concordando con Sommarivo nel ritenere che “i problemi dell’attuale AdSP sono due: il titolo 5° della costituzione e l’ordinamento speciale. nei primi anni dopo la riforma del ’94 c’era un clima di sostengo da parte del Ministero dei trasporti sulla portualità, mentre col passare del tempo vari provvedimenti hanno annientato l’ordinamento speciale delle port authority”. Secondo Merlo le autorità portuali costituite come Spa a controllo pubblico “avrebbero lo stesso problema di quelle attuali”, per cui l’unica strada percorribile dovrebbe essere quella della Spa pubblica sul modello delle Ferrovie dello Stato ma – ha aggiunto – potrebbero essere 3 o 4 in tutto il Paese perché devono avere autonomia finanziaria. A marzo si rischia una situazione di grande panico”. Mancano quattro mesi al verdetto del tribunale dell’Unione Europea sull’imposizione fiscale a cui potrebbero essere assoggettate le Autorità di sistema portuale.
Nicola Capuzzo
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