Le gru fisse in banchina pagano canone maggiorato
Rigettato un ricorso di Cict che contestava l’applicazione della tariffa per gli impianti di difficile rimozione
Il dovuto l’Autorità di Sistema Portuale della Sardegna l’ha già ottenuto, ma a livello giuridico la sua ragione è stata riconosciuta ieri con una sentenza del Tar della regione isolana: la decisione di Cagliari International Container Terminal (Cict) di provvedere solo parzialmente al pagamento dei canoni pretesi dall’ente per il 2017 fu illegittima.
Società del gruppo Contship, il terminalista, concessionario del terminal container del Porto Canale di Cagliari che di lì a poco avrebbe abbandonato, all’inizio di quell’anno contestò, impugnandone diversi atti, la pretesa dell’Adsp di applicare alle superfici occupate dalle sette gru di banchina del terminal montate su binari il canone maggiorato rispetto a quello applicato alle superfici scoperte e, all’atto del pagamento, scomputò dall’importo totale richiesto le maggiorazioni relative alla superficie delle gru di banchina.
Il Tar ha però appena smontato tale interpretazione, promuovendo la lettura dell’ente che aveva considerato le gru in questione, in quanto montate su binari ‘impiantati’ letteralmente al suolo della banchina, come impianti di difficile rimozione. Riferendosi al decreto ministeriale utilizzato dall’Adsp e alle relative circolari esplicative, infatti, i giudici hanno sentenziato che “sono considerate opere inamovibili o di difficile rimozione quegli impianti, manufatti, opere aventi struttura stabile, in muratura in cemento armato, in sistema misto, realizzate con elementi di prefabbricazione di notevole peso, la cui rimozione comporti necessariamente la distruzione parziale o totale del manufatto, che non ne consente la recuperabilità”, che “possono sostanziarsi ad esempio in: a) costruzioni in muratura ordinaria con solaio in cemento armato semplice o misto; b) costruzioni in muratura ordinaria con solaio in pannelli prefabbricati su piattaforma in cemento armato; c) opere, impianti e manufatti diversi da fabbricati assimilabili alle predette tipologie di costruzioni. Nella fattispecie vengono in rilievo strutture realizzate con elementi di prefabbricazione di notevole peso e per i quali è prevista, per la rimozione, la parziale o totale distruzione dell’opera (binari, cunicoli e travi sottostanti la banchina, facenti parte integrante dell’impianto), sicché l’Amministrazione ha correttamente ritenuto che le gru siano da inquadrarsi tra gli impianti di difficile rimozione ai fini della determinazione del canone per l’occupazione del demanio marittimo”.
Respinto anche l’altro argomento sollevato da Cict, relativo al fatto che negli altri porti di transhipment (Taranto e Gioia Tauro) la materia sarebbe stata disciplinata in senso ad essa favorevole, configurando quindi una violazione delle norme a tutela della concorrenza: “Sotto diverso profilo, la documentazione versata agli atti dall’Amministrazione comprova che i canoni applicati dall’Autorità resistente non sono pregiudizievoli rispetto a quelli cui sono soggetti gli altri terminal portuali vocati al transhipment, sicché non è possibile ravvisare nella fattispecie alcuna violazione delle norme in materia di concorrenza”.
Come accennato, da un punto di vista finanziario la partita fu risolta anticipatamente da Adsp, che, quale condizione per accettare la restituzione delle aree, pretese e ottenne da Cict il saldo delle pendenze soggette a contenzioso (circa 100mila euro), impegnandosi all’eventuale restituzione. Che a questo punto non dovrà avvenire.
A.M.
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