“Da rifare il progetto del tunnel subportuale di Genova”
Sicurezza in cima alle problematiche, ma fra i rilievi anche l’utilizzo del materiale di risulta per nuova diga e riempimento di Calata Bengasi
Per il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici il progetto preliminare del tunnel subportuale di Genova, la principale delle opere di compensazione che Autostrade per l’Italia ha inserito nel pacchetto ‘compensativo’ da 3,4 miliardi di euro concordato nell’ottobre 2021 con il Ministero delle Infrastrutture, la Regione, il Comune e l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, è da riscrivere.
Lo si legge a conclusione del parere sul progetto di fattibilità tecnico economica dell’opera (a cura di Aspi ma inserita nel programma straordinario dell’Adsp) rilasciato appena prima di Natale, con cui il Consiglio invita a rimettere il Pfte al proponente e a rivederlo sulla base delle numerose prescrizioni, raccomandazioni e osservazioni formulate.
I rilievi sono ampli e dettagliati e toccano tutti gli aspetti del progetto, in particolare quelli relativi alla sicurezza e in particolare inerenti al rischio di incendi, ritenendo il Consiglio “non sufficiente lo studio preliminare di analisi di rischio” e “inaccettabile rinviare alle fasi successive della progettazione gli approfondimenti e le integrazioni richieste sulle problematiche di sicurezza”. Poi ci sono “carenze” e “gravi incongruenze” in materia di aspetti viabilistici, descrizioni “poco dettagliate” relative all’impiantistica (elettricità, ventilazione, etc.), risposte parziali in merito alle criticità idrologiche e idrauliche riscontrate dal Consiglio.
Se per gli espropri (che in porto impatteranno soprattutto su Csm – Centro Smistamento Merci, il cui edificio sarà demolito per fare posto al cantiere di ingresso del tunnel, e su alcune attività delle riparazioni navali ma solo quando, realizzate le canne principali, si avvierà la costruzione del raccordo intermedio dell’opera con la viabilità urbana) il rilievo riguarda una lieve incongruenza sugli importi appostati (circa 80 milioni di euro), fra gli aspetti di maggior impatto per l’area portuale coinvolta, ci sono le problematiche inerenti alla collocazione del materiale di risulta, oltre 2,4 milioni di metri cubi.
Fra le destinazioni il progetto preliminare indica per 600mila metri cubi il riempimento dei cassoni della prima fase della diga, per altri 600mila mc il riempimento dei cassoni della seconda fase e per 780mila mc il riempimento di Calata Bengasi. Un’opera, la seconda fase della diga, nemmeno finanziata, così come controverso è l’iter del riempimento di Bengasi (era previsto dagli accordi concessori con l’Ati Messina – Terminal San Giorgio, in capo ai terminalisti, che peraltro hanno da tempo chiesto di evitarlo).
Il Consiglio non entra nel merito di tali considerazioni ma sottolinea che almeno per le “sole materie che non sarà possibile riutilizzare in tempi coerenti (vedi le tempistiche di realizzazione del riempimento dei cassoni della nuova diga foranea piuttosto che calata Bengasi) e/o per le caratteristiche degli stessi, vanno individuati ulteriori possibili usi esterni e/o i potenziali siti per il conferimento a discarica”.
Anche questa, come buona parte delle considerazioni sugli altri temi (in particolare quelli relativi alla sicurezza), porta il Consiglio a invitare a provvedere alla correzione in sede di Pfte, anche perché le necessarie integrazioni impatteranno sul costo dell’opera e quindi sulla relativa analisi costi-benefici. Che necessariamente deve essere preliminare al prosieguo dell’iter, dato che eventuali rincari potranno, sulla base dell’accordo del 2021, essere coperti solo detraendo il necessario dalle altre opere dell’accordo (fra cui l’autoparco a servizio dello scalo) o aumentando le tariffe di Aspi.
Il problema, però, è che il parere formale del Consiglio, comunicato fra Natale e Capodanno al proponente (cioè, formalmente, la Direzione generale strade e autostrade del Ministero delle Infrastrutture) non è mai arrivato, almeno ufficialmente, a Genova. Tanto che la Regione ha avviato prima di Natale il paur (provvedimento autorizzativo unico regionale) sulla base di una dichiarazione con cui Aspi a fine novembre “prendeva nota”, in via ufficiosa (non essendo stato formalizzato il parere), delle osservazioni del Consiglio, assicurandone l’integrazione nelle successive fasi di progettazione.
E ha pubblicato, quindi, per le osservazioni del pubblico, elaborati progettuali (a partire del piano sulla sicurezza, datato 15 novembre) riferibili al progetto definitivo ma prodotti prima che il Consiglio, appena prima di Natale, prescrivesse la prodromica rielaborazione del progetto preliminare, in un cortocircuito che getta più di un’ombra sul futuro dell’opera.
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