“Diving e Rescue”: la subacquea e la cantieristica navale al servizio della Marina Militare
Le origini e l’evoluzione dei sistemi iperbarici in Italia fino all’ultima commessa per una nuova nave che sarà costruita a Genova da T.Mariotti
Contributo a cura di Gaetano Tappino *
* segretario del “Collegio Ligure Pertiti Esperti e Consulenti”
SDO-SURS è la sigla del “Special & Diving Operations-Submarine Rescue Ship” questo e attualmente il nome del progetto della marina Militare che verrà realizzato dal cantiere navale genovese T. Mariotti in collaborazione di storiche aziende italiane precursori dei sistemi iperbarici “Drass Galeazzi”, una nave per soccorso a sommergibili in difficolta, con torretta di evacuazione dell’equipaggio e un impianto di saturazione da 12 sommozzatori per interventi fino a 300 metri.
La Galeazzi nata nel 1927 a La Spezia dal suo fondatore Roberto Galeazzi, ha iniziato a costruire i primi sistemi da immersione per i palombari del centro di formazione della Marina Militare nel golfo Spezzino. L’evoluzione è proseguita realizzando nei primi anni trenta, la prima Torretta Batoscopica normobarica con operatore, dagli spessi oblò, consentiva all’osservatore di dare indicazione a mezzo cavo telefonico al manovratore della gru dove posizionare le cariche di esplosivo per la demolizione sistematica, una volta riemersi, dopo l’esplosione, ritornavano in immersione per guidare la benna al recupero dei pezzi demoliti, torrette successivamente modificate con articolazioni di braccia e gambe.
Il successo internazionale delle torrette Galeazzi fu nel 1931, con il recupero nelle coste atlantiche europee di oltre quattro tonnellate di oro dalla nave “Egypt” alla profondità di 125 metri, operazione ritenuta all’epoca impossibile da realizzare, eseguito dalla SO.RI.MA società genovese fondata dal Commendatore Giovanni Quaglia nel 1926, con una delle prime nave per operazioni subacquee l’ ‘Artiglio’.
Nel 1939 venne all’attenzione di tutte le marinerie, il salvataggio dell’equipaggio del nuovo sommergibile statunitense Squalus, durante la prima uscita per le verifiche in mare, d’avanti alle coste della Virginia per un errore procedurale, si posò alla profondità di 80 metri senza la possibilità di riemergere, venne impiegato una torretta posizionata sulla nave Militare Falcon, un prototipo sviluppato da due ufficiali, Momsen e McCann, un sistema che poteva collegarsi con il supporto dei palombari, sul portello del sommergibile e trasferire al suo interno quattro militari alla volta salvando l’equipaggio con ripetute immersioni, dando impulso allo sviluppo dei sistemi di
evacuazione.
Nel 1999 La Galeazzi e la Drass leader nel mondo della costruzione di camere iperbariche, unirono le loro competenze convergendo in un’unica azienda la ‘Drass Galeazzi Underwater Technology’ proseguendo nell’evoluzione della tecnica dell’immersione in alto fondale con impianti di “saturazione”, veicoli sommergibili con operatore e a comando remoto, oltre camere iperbariche per uso medicale, dedicate all’ossigeno terapia per la cura di molteplici malattie, incidenti subacquei e domestici.
La nuova nave della Marina Italiana, sarà la prima tecnologicamente piu avanzata al mondo per l’interventi di soccorso a sommergibili in pericolo anche in posizione inclinata, con l’utilizzo di strumentazione elettronica unica appositamente realizzate.
Il ‘Saver’, sistema realizzato dalla collaborazione fra Drass e Saipem, per l’intervento in brevissimo tempo nel soccorso di sommergibili in avaria, l’intero equipaggiamento è suddivisibile in moduli e trasportabile per via aerea, ha comandi remoti, può essere impiegato nonostante situazioni meteomarine avverse, è in grado di collegarsi al sommergibile anche se inclinato riportando in piu riprese in superficie l’equipaggio. La progettazione della costruzione navale, garantisce alte prestazioni di velocità e stabilità, con posizionamento dinamico del punto fisso a mezzo satellitare. La scheda tecnica riportata sul sito della Marina Militare, indica una lunghezza di 120 metri per una larghezza di metri 22, un’autonomia di cinquemila miglia nautiche alla velocità di 16 nodi la rende agile e prontamente operativa, con 120 membri di equipaggio e una disponibilità fino a duecento posti letto.
La nave è dotata anche di sistemi scanner oceanografici di rilevamento dei fondali con una impressionante qualità di visualizzazione, oltre a particolari veicoli con comando remoto a cavo, provvisti di manipolatori e altri completamente autonomi senza ombelicale. Una nave che oltre alle operazioni militari della nostra Marina entra a pieno titolo nell’operatività delle forze alleate della Nato per interventi di calamità naturali e militari, un sistema medico sanitario per patologie subacquee garantisce l’intervento per gravi incidenti. Il cuore pulsante dell’unità, è l’impianto di ‘saturazione’, un sistema ad alta tecnologia che consente interventi a grandi profondità con O.T.S alto fondalisti (Operatori Tecnici Subacquei), apparati che si sono evoluti anche a seguito dell’impiego nel commercial diving off-shore per l’estrazione petrolifera.
Gli operatori della Marina Militare addestrati alle immersioni in alto fondale, seguono una procedura simile al commercial diving, entrando nell’impianto e pressurizzati alla quota operativa , trascorrono mediamente dai venti ai venticinque giorni consecutivi, a turno i tecnici subacquei entrano nella campana d’immersione che li porterà alla quota di lavoro, aperto il portello di accesso in mare, troveranno la stessa pressione dove sono esposti anche nell’impianto. Terminato il loro turno d’immersione rientrano nella campana che li riporterà nell’impianto di superficie sulla nave dove si clamperà mantenendo sempre l’equilibrio delle pressioni, consentendo il cambio con un altro gruppo.
Questa complessa operazione consente di operare continuamente h 24, sfruttando al massimo tutto il sistema compreso la nave appoggio, se pur a costi economici elevati, comunque danno la maggior resa fra costi e resa produttiva, potendo essere operativi anche per piu mesi consecutivi. Gli O.T.S , terminato il loro turno, in gruppi vengono sostituiti da nuovi ed il loro rientro in atmosfera avviene attraverso un sistema collegato all’impianto principale di camere pressurizzate dedicate alla decompressione, dove saranno lentamente sottoposti ad un graduale riduzione della pressione fino ad arrivare alla quota normobarica atmosferica, per dare un idea dei tempi, dopo un turno a cento metri per poter uscire dall’impianto necessitano circa tre giorni. L’Italia sin dai primi anni venti è stata pioniere dell’immersione e questo progetto, ci conferma leader delle attività subacquee.
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