Anche Assiterminal inquieta sull’elettrificazione delle banchine
L’associazione, mentre l’Ue procede sui carburanti alternativi, traccia un quadro impietoso dell’italian way all’elettricità in banchina e chiede al Mit di essere coinvolta attivamente
A valle dell’approvazione di un accordo informale fra Parlamento e Consiglio europei sul regolamento dei combustibili alternativi e della reazione di Assarmatori, anche Assiterminal ha espresso preoccupazione per l’approccio italiano al cold ironing.
“La sensazione, al momento, è che si debbano ancora chiarire molti aspetti tecnici, operativi, di costo, ma quello che ci preoccupa è anche il metodo con cui si intende approcciare alla fase esecutiva” scrive in una nota l’associazione di categoria dei terminalisti portuali aderente a Confindustria. “Un dato certo: 700 milioni di euro destinati a creare i presupposti per ‘l’allaccio alla corrente di navi in banchina’. Dobbiamo partire dal presupposto che ci sia stata sicuramente un’analisi attenta dei fabbisogni di potenza (prospettica) e uno studio preliminare dei lay out di porti e banchine (con una visione di medio periodo)”.
Assiterminal non ne è però così convinta: “Da non addetti ai lavori sorgono almeno alcune domande spontanee: a seconda delle potenze erogabili sia l’infrastruttura che il modello operativo cambiano, cambiano le imposizioni fiscali in base alla fonte di produzione dell’energia erogata, l’utente finale – la nave – può accedere al libero mercato? Quanto la scelta di un modello operativo o di infrastrutturazione può incidere sulla competitività di un porto e quanto il terminalista subisce o deve essere parte attiva di queste scelte? Chi sarà titolato ad attaccare la spina e quali saranno i requisiti per farlo? Ma soprattutto: i tempi di realizzazione e le modalità di costruzione del modello di erogazione (compresa ovviamente la struttura dei costi) saranno lasciati a ciascuna Adsp o saranno oggetto di una pianificazione armonica sotto la regia di un unico soggetto?”
Assiterminal rivendica l’iniziativa avviata da tempo per “inserire chiaramente il concessionario portuale come parte attiva della comunità energetica portuale: è evidente che la capacità di erogare il servizio di cold ironing sarà sempre di più un elemento competitivo al pari della accessibilità del terminal, al pari della sua capacità operativa di imbarcare e sbarcare merci o passeggeri. Non solo: è evidente che devono essere semplificate e incentivate procedure e misure funzionali alla transizione energetica per l’approvvigionamento di energia ‘pulita’ anche per le proprie utenze che servono ad alimentare gru, mezzi di movimentazione, parchi reefer, edifici e servizi. Non ne facciamo solo un tema di costo puro ma di sostenibilità dei nostri business all’interno dei tessuti urbani vicino ai quali operiamo”.
Per questo l’associazione, che ha “avviato un confronto informale con l’armamento e con i colleghi delle altre associazioni terminalistiche”, onde “evitare una rincorsa come quella che stiamo continuando a fare sull’aumento dei canoni concessori”, lamenta di non esser ancora “parte dei tavoli tecnici avviati al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti” e lo invita a mantenere gli impegni al riguardo. Prima che sia troppo tardi.
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