A Trieste i portuali s’allontanano dalla banchina
Con la benedizione dell’Adsp, l’articolo 17 dello scalo Alpt avvierà lavoratori anche alle manovre ferroviarie (Adriafer). Sindacati favorevoli, apprezzamento di Culmv, Ancip propone ad Assoporti di lavorare a un “protocollo nazionale”
Un piccolo passo per un camallo triestino potrebbe trasformarsi, parafrasando Neil Armstrong, in un grande passo per la portualità italiana.
Scenario del resto fino ad oggi lunare, salvo sporadiche e comunque sempre estemporanee eccezioni (si pensi ai portuali genovesi impegnati nello smantellamento della Concordia), l’avviamento di un lavoratore dell’Agenzia del lavoro portuale di Trieste (Alpt, società fornitrice di manodopera ex art.17 nello scalo giuliano) ad un’attività non afferente alle operazioni portuali è avvenuto nei giorni scorsi nel capoluogo giuliano.
Un episodio destinato a non restare isolato, essendo invece il frutto di una strutturata iniziativa (rivendicata da Usb) presa nel contesto della sottoscrizione (da parte di tutte le sigle rappresentate: Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Usb e Ugl) dell’accordo di secondo livello di Adriafer, la società controllata interamente dall’Autorità di sistema portuale (Alpt lo è solo per una quota minoritaria, la maggioranza è suddivisa fra terminalisti e operatori portuali) che gestisce il servizio (di interesse economico generale) di manovra portuale a Trieste e ha di recente adottato e applicato il Ccnl porti.
Dopo un periodo di formazione specifica 7 lavoratori di Alpt potranno integrare i picchi di lavoro di Adriafer: “I lavoratori di Alpt non si pongono in contrapposizione a quelli di Adriafer: il loro avviamento è finalizzato a consentire una corretta programmazione della turnazione a garanzia del recupero psicofisico di tutti e per liberare risorse per aumentare la formazione dei lavoratori Adriafer e con essa la loro crescita professionale. Più in generale questa operazione è un potenziamento del servizio che implementa l’efficienza generale della movimentazione portuale di Trieste” ha spiegato una nota Usb, riconoscendo la “piena collaborazione della dirigenza Adriafer e dell’Adsp”.
L’iniziativa è stata battezzata come “molto positiva” dal direttore generale di Ancip – Associazione Nazionale Compagnie Imprese Portuali Gaudenzio Parenti, che auspica un’estensione nazionale: “Certo il contesto di Trieste, con il fornitore nato come comma 5 (cioè su iniziativa dell’Adsp e non a valle di gara, nda) e con persone di grande esperienza e capacità quali Zeno D’Agostino e Franco Mariani alla guida di Adsp e Alpt, è quello ideale per trovare gli equilibri giusti. Ma, pur restando in ambito portuale, aprire il ventaglio di attività dei 17 è la strada da seguire e il caso triestino potrebbe fare da apripista ad un protocollo da sottoscriversi fra Ancip, Assoporti e le organizzazioni sindacali”.
Del resto anche fra le organizzazioni sindacali confederali l’iniziativa di Trieste ha riscosso forte interesse.
“Sicuramente ci sono aspetti da approfondire, a partire da quelli contrattuali e salariali, ma la nostra posizione è positiva. Del resto la legge non lo vieta e si resta nel perimetro portuale: purché vi sia a monte una debita attività formativa, noi siamo favorevoli a sviluppare questa strada” ha commentato dalla segreteria nazionale di Filt Cgil Amedeo D’Alessio. Cauto ma favorevole anche Maurizio Diamante, Fit Cisl: “Trattandosi di un 17 comma 5, all’interno del perimetro portuale per la gestione dei picchi, in specifiche realtà quale il porto di Trieste in materia di traffico intermodale e logistica, la vedo in maniera positiva, tenuto anche conto della formazione e della preparazione adeguata dei lavoratori”. Di simile tenore le parole di Marco Odone (Uiltrasporti): “Mi sembra un’ottima opportunità di utilizzo dei lavoratori del 17, che, oltre tutto, favorisce non solo gli equilibri economici dell’Agenzia, ma anche l’erario, alleggerendo le esigenze di Ima (l’indennità di mancato avviamento percepita dai lavoratori dei 17 quando non sono avviati, nda), purché ovviamente non si perda di vista la sicurezza che solo un’adeguata formazione può garantire”.
Alzato anche il pollice del console della genovese Culmv, la più grossa compagnia portuale italiana, seppur nel realismo che la situazione dei commi 2 e 5 è sostanzialmente diversa (per i primi, dice la legge, l’attività “deve essere esclusivamente rivolta alla fornitura di lavoro temporaneo per l’esecuzione delle operazioni e dei servizi portuali”, mentre il fatto che “le norme per l’istituzione ed il funzionamento” dei secondi sia demandato a un decreto interministeriale mai adottato garantisce un maggior margine di manovra): “Sono anni che sosteniamo che, restando in porto, ai 17 debba essere consentito di svolgere attività, peraltro tradizionalmente prestate, che esulino dalle operazioni portuali. Ma a noi, salvo rare e temporanee deroghe, non è mai stato permesso, nemmeno di fronte ad esigenze conclamate, come ad esempio il bisogno di gruisti (portuali) espresso più volte dal settore delle riparazioni navali. Il contesto triestino è senz’altro peculiare, ma speriamo che serva da viatico per qualcosa di più generale, applicabile anche in altri porti” ha chiosato Antonio Benvenuti.
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