La geopolitica del gas (a pochi passi da casa nostra)
Contributo a cura di Ennio Palmesino * * broker marittimo La notizia scioccante è che la Turchia e la Libia di Al Sarraj hanno firmato nel novembre 2019 un protocollo d’intesa sulla “delimitazione delle giurisdizioni marittime” per spartirsi le acque che separano Turchia e Libia, e ignorando completamente la presenza delle isole greche. Guardando […]
Contributo a cura di Ennio Palmesino *
* broker marittimo
La notizia scioccante è che la Turchia e la Libia di Al Sarraj hanno firmato nel novembre 2019 un protocollo d’intesa sulla “delimitazione delle giurisdizioni marittime” per spartirsi le acque che separano Turchia e Libia, e ignorando completamente la presenza delle isole greche.
Guardando la mappa del Mediterraneo orientale, la conformazione dei nuovi confini della rispettiva ZEE appare immediatamente come una provocazione. L’accordo tra Ankara e Tripoli potrebbe infatti creare un corridoio turco-libico che determinerebbe l’esclusione, da un lato, della Grecia e, dall’altro, di Cipro, Egitto e Israele.
In materia di delimitazioni di ZEE e della sottostante piattaforma continentale, c’è infatti una sorta di ambiguità che legittima paradossalmente le pretese più spregiudicate. Anche perché ogni Stato è libero di proclamare unilateralmente proprie zone di giurisdizione, ma queste non sono opponibili dagli Stati terzi che le contestino, mentre la Convenzione UNCLOS non indica alcun metodo da applicare nello stabilire confini marittimi, limitandosi a prescrivere che il risultato, raggiunto attraverso accordi fra i paesi interessati, deve essere equitativo.
La condanna della Turchia, suggellata dall’incontro del Cairo del gennaio 2020 fra Francia, Cipro, Egitto e Grecia, appare più che motivata se si considera che ad Ankara viene imputato un difetto di buona fede, sia nell’aver applicato in modo distorto le tecniche di delimitazione, sia nel non aver tenuto conto dei diritti vantati da altri Stati frontisti come appunto la Grecia, Cipro e l’Egitto. Dispiace che l’Italia non abbia controfirmato questa condanna, quasi a dichiararsi tollerante verso queste operazioni aggressive.
Ma la cosa paradossale è che le linee tracciate per queste presunte ZEE dalla parte libica vanno a finire sulle coste della Cirenaica, proprio la regione che Al Sarraj non controlla e che invece è in mano al suo nemico Haftar.
Qualcuno ha fatto notare che questo corridoio turco-libico costituirebbe uno “sbarramento” rispetto alla costruzione del nuovo gasdotto sottomarino East Med, destinato a portare il gas dai giacimenti ciprioti ed israeliani fino in Grecia, e poi in Italia. Bloccare la costruzione del tubo in questo momento rientra sicuramente fra gli obiettivi del sultano Erdogan.
Ma questa preoccupazione non sembra essere fondata, infatti secondo l’UNCLOS ogni stato costiero ha il diritto esclusivo di utilizzare le risorse, sia organiche che inorganiche, tra cui la pesca, lo sfruttamento minerario ecc. nelle proprie zone economiche esclusive, ma deve consentire ad altri stati di utilizzare tali zone per altre attività non correlate allo sfruttamento delle risorse, come la posa di condotte sottomarine e cavi, oltre, naturalmente, alla libera navigazione delle navi di qualunque bandiera.
L’Unione Europea ha accettato di finanziare il progetto di pipeline (lungo circa 2.000 km) a condizione che vengano convogliate nel tubo tutte le riserve di gas di Israele e Cipro con destinazione Grecia e Italia.
Ma altre nubi si addensano sul progetto. Il governo italiano, sotto la pressione di sedicenti ambientalisti, ha cominciato a ripensarci. Poseidone è il nome del tratto di tubo che dovrebbe essere costruito tra la Grecia e l’Italia, ed era già stato approvato dai precedenti governi italiani (in particolare l’ex ministro dell’Economia, Calenda, aveva firmato una dichiarazione congiunta con colleghi in Grecia, Cipro e Israele con la benedizione della Commissione europea). Ma il Movimento Cinque Stelle ha dimostrato di voler dare ascolto agli attivisti “No TAP”, che hanno sùbito avvertito di opporsi all’atterraggio del tubo vicino a Otranto, che si trova a soli 30 chilometri a sud di Melendugno (atterraggio del TAP, già digerito a fatica). Il governo, così, ha ordinato una nuova valutazione di impatto ambientale, per ritardare il progetto, e così l’Italia non ha firmato l’accordo finale, che era previsto per marzo 2019.
I critici del tubo nel frattempo hanno sottolineato come il gas liquido (GNL) trasportato su navi cisterna sarebbe più economico rispetto al tubo sottomarino, inoltre ci potrebbe essere più libertà di movimento: il GNL può essere dirottato verso qualsiasi paese, ovunque i prezzi siano più interessanti, senza uno sbocco obbligato.
L’idea delle spedizioni via mare anzichè via tubo è stata rilanciata a seguito della scoperta da parte dell’ENI di un giacimento gigante di gas, Zohr, al largo delle coste dell’Egitto. Grazie a uno sviluppo molto rapido, l’ENI è riuscita ad avviare la produzione di Zohr già nel dicembre 2017, consentendo all’Egitto di raggiungere rapidamente l’autosufficienza nel settore del gas. Subito dopo una più ampia attività di esplorazione è stata intrapresa nell’offshore del paese, il che ha portato alla scoperta di altri campi importanti, come Noor, che è ancora soggetto a stime precise, ma che sembra essere un altro campo gigante.
L’importanza di Zohr va ben oltre i confini egiziani, poiché la vicinanza geografica con gli altri depositi al largo delle coste di Israele e Cipro potrebbe consentire uno sviluppo coordinato di queste risorse, sfruttando le economie di scala a livello regionale. L’Egitto ha già due impianti di liquefazione ed esportazione di GNL (con una capacità di 19 miliardi di metri cubi all’anno, circa il doppio del tanto discusso gasdotto TAP), impianti che sono al momento sottoutilizzati. L’uso di questa infrastruttura consentirebbe l’esportazione di gas in forma liquida dai campi egiziani, israeliani e ciprioti, senza la necessità di nuovi investimenti infrastrutturali.
Di conseguenza, a gennaio 2019 i ministri dell’energia di Cipro, Egitto, Grecia, Giordania e Israele, insieme ai rappresentanti dell’Italia e dell’Autorità palestinese, hanno creato il Forum del gas del Mediterraneo orientale (EMGF), un tavolo per sviluppare e coordinare l’infrastruttura di gas naturale liquefatto (GNL) già esistente nell’est Mediterraneo, senza la necessità di un gasdotto. Questa decisione è di importanza capitale sotto il profilo marittimo: se verrà scelto il GNL, sarà necessario il dispiegamento di molte nuove navi gasiere in Egitto, mentre le navi non sarebbero necessarie se verrà costruito il gasdotto East Med.
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