Le tre “A” del lavoro portuale nel 2020: Aiuti, Autoproduzione e Avanguardia
Contributo a firma di Luca Grilli * * presidente Ancip (Associazione Nazionale Imprese Portuali) Questo e altri contenuti sono pubblicati all’interno de nuovo inserto speciale “I numeri dei porti italiani – Edizione 2021” in formato Pdf Nell’ “Annus Horribilis” dell’economia italiana e nazionale anche la portualità ha accusato il colpo della precaria situazione sanitaria […]
Contributo a firma di Luca Grilli *
* presidente Ancip (Associazione Nazionale Imprese Portuali)
Questo e altri contenuti sono pubblicati all’interno de nuovo inserto speciale “I numeri dei porti italiani – Edizione 2021” in formato Pdf
Nell’ “Annus Horribilis” dell’economia italiana e nazionale anche la portualità ha accusato il colpo della precaria situazione sanitaria che da più di un anno sta attanagliando il paese. L’inasprimento degli effetti del Covid-19 sta palesando anche nel settore portuale (che merita un giusto riconoscimento per aver garantito gli approvvigionamenti indispensabili al Paese) una progressiva e rilevante diminuzione dei volumi in tutta la nazione e di conseguenza una diminuzione delle occasioni di occupazione che per le sole Compagnie Portuali possono essere stimati in un centinaio di migliaia di giornate di lavoro in meno. Va sottolineato che il verificarsi di situazioni (purtroppo non inconsuete nei porti italiani) di notevole riduzione dei traffici portuali espone il soggetto abilitato ai sensi dell’art.17 alle difficoltà insite nella sua stessa natura di mero fornitore di lavoro portuale temporaneo. Infatti la tariffa, stabilita dalle Autorità di Sistema Portuale quale corrispettivo per la fornitura di lavoro portuale temporaneo, dovrebbe costituire il risultato di un’analisi dei costi del soggetto interessato e, parametrata su un determinato numero di avviamenti annuali, dovrebbe garantire il raggiungimento di un equilibrio economico (si ricorda che l’impresa di cui all’art. 17 non ha scopo di lucro); sta di fatto, però, che la riduzione del numero di avviamenti al di sotto di tale soglia, soprattutto se prolungata e consistente, unitamente al fenomeno (diffuso in alcuni porti) dell’inadeguatezza strutturale della tariffa, fa venire meno il prefato equilibrio ed espone le Compagnie Portuali a reiterate situazioni di disagio economico-finanziario. A ciò aggiungasi che nei giorni di mancanza di lavoro, mentre il lavoratore non avviato beneficia dell’indennità di mancato avviamento, l’impresa ex art. 17 non è in grado di coprire i costi del lavoro e gestionali che deve comunque sostenere anche in caso di mancanza delle occasioni lavorative. In queste situazioni critiche, dunque, l’unica soluzione per garantire la sopravvivenza del soggetto ex art.17 – e la conseguente capacità di assicurare al porto la flessibilità professionalizzata – può essere rappresentata dal ricorso alle misure volte a garantire l’equilibrio economico-patrimoniale di tali imprese essenziali per la competitività di un porto. Oggi questo equilibrio si è provato a trovare grazie anche all’Art.199 comma 1 lett.b) del decreto legge 34, uno strumento di emergenza che però ancora non ha ancora trovato la sintesi comune di applicazione a livello nazionale.
Un’altra tematica fondamentale che viene da lontano, in cui il Legislatore è intervenuto, e che ha caratterizzato il 2020 e che proprio nel corso dell’anno ha trovato la sua conclusione, è senz’altro quella afferente alla possibilità per i vettori marittimi di impiegare il personale marittimo nello svolgimento di operazioni portuali, limitando in modo sostanziale il ricorso alla c.d. pratica dell’autoproduzione.
In altri termini, la possibilità per il vettore marittimo (prevista dalla legge) di operare in regime di autoproduzione non può (e non deve) rappresentare una forma di detrimento della qualità delle operazioni e dei servizi portuali, nel senso che le Autorità di Sistema Portuale, di concerto con le Autorità Marittime, devono necessariamente condizionare l’eventuale rilascio di tale autorizzazione alla verifica preliminare e successiva (costante e stringente) del rispetto da parte del vettore marittimo degli stessi standard qualitativi richiesti alle imprese portuali già operanti nel porto di riferimento, in termini professionali, di sicurezza, di formazione, di qualità dei mezzi meccanici e degli strumenti in generale utilizzati per la propria operatività. Un diverso approccio determinerebbe non soltanto possibili (e pericolose) disfunzioni sotto il profilo operativo, ma anche una ingiusta e inammissibile violazione dei principi in materia di concorrenza, in danno delle imprese locali, compresa quella abilitata alla fornitura di lavoro portuale temporaneo.
Infine quest’anno ha evidenziato come una riflessione sul “Lavoratore Portuale” sia necessaria, opportuna e dovuta. Necessitiamo di una visione che punti all’avanguardia per questa figura che ha evidenziato come, oltre alla gestione delle fasi emergenziali, anche in termini di sicurezza sul lavoro debba mantenere la prontezza operativa delle attività portuali a sostegno della ripresa delle produzioni industriali. Una prontezza non solo in termini fisici ma anche di risposta alle nuove esigenze che il mercato chiede e impone. È in atto, e ogni giorno accelera sempre di più, un processo di trasformazione che vede l’operatore portuale sempre meno uomo “nerboruto e semplice” a fronte di un operatore sempre più istruito, tecnico e competente, qui si deve essere bravi ad approfittare anche degli ingenti fondi che saranno messi a disposizione dell’Europa per ottenere un progetto su scala nazionale che contempli la formazione e il potenziamento delle competenze, anche digitali, degli operatori per avere un “Portuale” sempre più 2.0 che si confermi elemento imprescindibile di raccordo nella catena intermodale della logistica avendo sempre bene in mente, però, che il mancato inserimento del lavoro portuale nel novero delle attività riconosciute come usuranti rappresenti un grave vuoto normativo che andrebbe colmato con sollecitudine.
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