Condannato il comandante dell’Asso 28 che riportò migranti in Libia
La notizia è stata data da Avvenire, quotidiano che seguì il caso fin da quando avvenne, il 30 luglio del 2018: il comandante del supply vessel italiano Asso 28, che quel giorno riconsegnò a Tripoli alcuni migranti soccorsi al largo della costa libica, è stato condannato dal Tribunale di Napoli a un anno di reclusione. […]
La notizia è stata data da Avvenire, quotidiano che seguì il caso fin da quando avvenne, il 30 luglio del 2018: il comandante del supply vessel italiano Asso 28, che quel giorno riconsegnò a Tripoli alcuni migranti soccorsi al largo della costa libica, è stato condannato dal Tribunale di Napoli a un anno di reclusione.
Senza le motivazioni, che ancora non sono state depositate, è difficile comprendere cosa abbia portato i giudici a ritenere il comandante colpevole di aver ricondotto i migranti alle autorità di un paese non riconosciuto dalle Nazioni Unite come “luogo sicuro di sbarco”.
All’epoca la compagnia armatrice, parte del gruppo Cafima, spiegò che l’operazione di soccorso era stata condotta interamente dalla Guardia Costiera libica, che impose al comandante dell’Asso 28 di riportare i migranti in Libia. Alle indagini della Capitaneria di Porto contribuirono alcune registrazioni radio prodotte da una nave dell’organizzazione umanitaria Open Arms che incrociava nelle stesse acque. “Alla nostra richiesta di fornirci i dettagli delle posizioni, ci diedero indicazioni poco chiare – aveva ricordato l’allora capomissione di Open Arms, Riccardo Gatti -. Questo per farci allontanare, ma poi abbiamo capito che era successo qualcosa di strano” scrive oggi Avvenire.
Il punto focale – su ordine di chi, cioè, abbia agito il comandante: armatore, noleggiatore o autorità libiche – non è stato però chiarito, come ricorda ancora il quotidiano di ispirazione cattolica, “Il processo, svolto con rito abbreviato, non ha potuto accertare da chi fosse arrivato quell’ordine (l’ordine di rientrare in Libia, ndr). E oggi a pagare è il solo comandante”.
Una conclusione che certo segna una pietra miliare: “È la prima volta che in Europa si arriva a un verdetto di questa portata e che, di fatto, conferma come la Libia non possa essere riconosciuta come luogo sicuro di sbarco. D’ora in avanti qualsiasi nave civile coinvolta nei respingimenti rischia un processo e una condanna” spiega Avvenire.
Mario Mattioli, presidente di Cafima nonché di Confitarma, ha detto di voler aspettare le motivazioni prima di commentare.
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