Becce (Assiterminal): “Ecco ciò che serve ai porti italiani nel prossimo futuro”
Fra i temi più urgenti lavoro, Legge sulla concorrenza, pianificazione degli investimenti, concorrenza fra i diversi player della logistica, maggiore collegamento fra porti e industrie
Contributo a cura di Luca Becce *
* presidente Assiterminal
Il 2022 è l’anno del ventunesimo compleanno di Assiterminal, un tempo l’età della maturità, che verrà festeggiato domani a Roma. Tra pandemie, conflitti e dialettiche associative, Assiterminal oggi accoglie 81 aziende associate tra imprese portuali e terminal operator, rappresentativi di tutte le merceologie e attività di business della portualità, presenti in tutti i sistemi portuali italiani, attraverso i quali l’associazione esprime la propria rappresentanza negli organismi di quasi tutte le AdSP. Le aziende di Assiterminal occupano circa 4.000 persone, movimentano circa il 70% dei container gestiti nei porti italiani gateway, il 60% delle tonnellate merci complessive e il 90% del traffico crocieristico.
I trend degli ultimi anni sullo scenario della portualità sono in continua evoluzione: mutano gli equilibri tra i player ridisegnando una geografia economico imprenditoriale radicalmente diversa dal recente contesto della riforma della 84/94, i flussi di merce in import – export si distribuiscono tra porto e porto senza cambiamenti degni di nota, mantenendo un size regionale alla destinazione finale, il crocierismo si riprende per numero di navi ma languono i passeggeri.
Esaurita la spinta dei ristori che ha aiutato negli ultimi due anni, il 2022 inizia con un aumento flat dei costi di concessione dell’8% e l’esplosione dei costi operativi (dovuti agli aumenti dei costi energetici e alla schizofrenia dei deployment delle navi): se è vero che le marginalità sulle soste dei container impattano positivamente sull’Ebitda dei terminal portuali è vero anche che l’organizzazione del lavoro e l’efficientamento degli spazi operativi sono letteralmente saltati.
In tutto ciò il Parlamento si avvia a convertire il disegno di legge sulla concorrenza che continua a scivolare su impostazioni o visioni di soggetti “altri” dalle dinamiche e effetti dei cambiamenti in atto della catena logistica e dei suoi attori: chi deve regolare e come, quali modelli di lavoro, un reale equilibrio e rispetto delle regole fiscali e contributive per favorire una reale competitività tra i diversi player della catena logistica, uniformare le regole e i criteri relativi al rapporto concessorio.
Abbiamo più volte sottolineato che uno dei temi che si dovrebbero affrontare e risolvere sia legato alla concorrenza Stato – Regioni sui temi della portualità: rischia di sterilizzarsi il principio del “sistema” se permangono visioni localistiche, per quanto buona parte dei nostri porti siano funzionali a mercati interni. È evidente che non solo in termini di pianificazione di investimenti infrastrutturali ma anche volendo traguardare una piattaforma logistica digitale il decisore politico e strategico debba essere individuato nel Governo centrale.
La semplificazione e la sostenibilità passano anche attraverso il coraggio e la strategia politica di riassumere in un unico soggetto istituzionale e nelle sue articolazioni regolamentazione, vigilanza e controllo, condividendo con gli altri enti dello Stato i temi della regolazione dell’accesso al mercato e della concorrenza, valutare con una diversa capacità progettuale le prospettive legate alla transizione energetica: quest’ultimo tema non può che essere centrale per porti che incidono su tessuti urbani e che possono diventare potenzialmente dei propulsori di un reshoring energetico più che indispensabile.
La transizione dovrebbe passare anche da una ritrovata capacità attrattiva e di collegamento tra porti e industria, laddove ci siano spazi utilizzabili o convertibili, utilizzando con un po’ più di coraggio lo strumento giuridico delle zone franche intercluse; diciamo un “modello Trieste” alla portata di tutti: siamo oggettivi, negli ultimi 20 anni il volume di merci e passeggeri transitati dai nostri porti si è mantenuto invariato, così come il Pil italiano. Per valorizzare efficacemente il nostro comparto bisogna far evolvere il suo modello industriale legandolo alla politica industriale del paese: i Paesi che lo fanno, e che hanno una politica industriale di prospettiva, dimostrano che si può fare e in un certo qual modo i fenomeni di verticalizzazione o di interazione della catena logistica ne sono un esempio; il tema su cui la politica e l’impresa si devono confrontare è quello delle ricadute del valore dell’integrazione della produzione con il trasporto.
E se tutto si tiene, e la sostenibilità si regge anche sul valore del lavoro e dei lavoratori, si devono continuare ad affrontare con onestà intellettuale i temi del lavoro e le evoluzioni che ci saranno nelle attività operative: permarranno aree di impiego ad alta manualità ma sempre più concentrate sui traghetti, mentre le professionalità funzionali ad altre tipologie di traffici si modificheranno sempre più verso una remotizzazione operativa. Questo percorso necessita di adeguati strumenti normativi e ammortizzanti che accompagnino riqualificazione e anticipo della quiescienza.
Il percorso è stato avviato con il riconoscimento di alcuni profili operativi tra i lavori gravosi e l’istituzione del fondo prepensionamenti, ma si deve fare di più.
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