Santi (Federagenti): “È prevedibile una nuova tempesta da congestione sulle catene logistiche”
(Questo contributo è stato pubblicato all’interno dell’inserto “I numeri dei porti italiani – Ediz. 2022” appena realizzato da SHIPPING ITALY) – CLICCA E LEGGI QUI Alessandro Santi * * presidente Federagenti Le analisi dinamiche, per voce di scienziati ed economisti, tendono a essere più complesse ma al tempo stesso più affidabili rispetto a […]
(Questo contributo è stato pubblicato all’interno dell’inserto “I numeri dei porti italiani – Ediz. 2022” appena realizzato da SHIPPING ITALY) – CLICCA E LEGGI QUI
Alessandro Santi *
* presidente Federagenti
Le analisi dinamiche, per voce di scienziati ed economisti, tendono a essere più complesse ma al tempo stesso più affidabili rispetto a quelle statiche; anziché fornire una fotografia di un particolare momento esaminandone componenti e fattori, l’analisi dinamica fa perno su una valutazione prospettica e quindi su fenomeni evolutivi e la loro prevedibilità al fine di formulare l’interazione futura fra i diversi fattori, i trend e quindi, in conclusione, un quadro evolutivo affidabile.
Dall’inizio della pandemia in Italia il dibattito anche tra gli addetti ai lavori è stato spesso centrato solo sugli effetti raramente sulle cause di tutto quanto stava succedendo: discussione sull’aumento vertiginoso dei noli e su come questo fosse causato da supposte azioni speculative, l’inefficienza inaccettabile del sistema logistico e l’aumento insostenibile dei prezzi delle materie prime, per lo più introvabili. Troppo poco si sono analizzate le cause della bufera che si stava e si sta abbattendo ancor oggi sulle catene di approvvigionamento e conseguentemente sulla vita delle persone e delle aziende. I tre fattori che hanno messo a soqquadro una visione del mondo come eravamo abituati a conoscere sono principalmente tre: la situazione geopolitica, l’evoluzione a macchia di leopardo della pandemia e il cambiamento strutturale dei consumi nei paesi ‘ricchi’, il tutto dimensionato su scala globale. La situazione geopolitica esplosiva era messa al primo posto nella scala dei rischi da parte degli analisti internazionali già prima dello scoppio della pandemia e ha avuto la sua triste concretizzazione con la crisi ucraina; i secondi due fenomeni sono stati tristi protagonisti, lo sono e lo saranno ancora nel prossimo futuro. In definitiva quanto accaduto in questi ultimi due anni, con un’ulteriore accentuazione negli ultimi due mesi, rende una “mission impossible” qualsiasi tentativo di razionalizzazione di previsione su quanto potrà verificarsi nel breve, ma anche nel medio e lungo termine, nel mercato dell’interscambio mondiale via mare, dei traffici marittimi e dei porti.
Il recentissimo blocco del porto di Shanghai, partito come di consueto dal Capodanno cinese e poi finito fuori controllo in gran parte per i lockdown decisi dal governo cinese nel quadro di una politica zero-Covid in parte inattesa, si somma con le conseguenze del conflitto in Ucraina, generando un mix del tutto fuori controllo. È prevedibile una nuova tempesta da congestione sulle catene logistiche, specialmente nel settore container, con un ulteriore incremento dei noli, destinato a innestarsi su quotazioni già alte e a spingere quindi l’economia mondiale verso un globale rincaro nei prezzi dei prodotti di consumo e verso ormai severissimi fenomeni inflattivi.
Anche per quanto riguarda i porti il congestionamento, con riflessi immediati al momento della fine dell’emergenza attuale Covid in Cina, verso i porti della west coast americana e a quelli del Nord Europa (con possibili conseguenze anche sulla portualità mediterranea) sembra destinato a diventare un fenomeno cronico, quantomeno nel breve e medio periodo.
Cosa accadrà dopo è davvero impossibile da prevedere. Fenomeni di crisi si incrociano l’uno con l’altro, dall’energia alle materie prime, dall’agricoltura ai consumi che evidenziano già oggi effetti recessivi. E su tutto incombe una ormai obbligata riscrittura dell’intera catena logistica modificando il modello futuro di globalizzazione. Non è dato sapere in che modo e in quali tempi il fenomeno del reshoring destinato a creare nuove aree di produzione forse in Africa, certamente in un Medio Oriente che si è riscoperto continente (anche grazie ai Patti di Abramo) e, forse, anche nel Mezzogiorno d’Italia, potrà ridisegnare gli equilibri instabili dei traffici mondiali.
Di certo lo shock energetico e la ricerca di fonti alternative a quella russa fanno suonare più di un campanello di allarme. Ciò che sta accadendo per gas, petrolio e carbone, potrà e forse dovrà verificarsi anche nei mercati della produzione di componentistica e di prodotti finiti, accorciando drammaticamente la catena logistica che la grande ubriacatura della globalizzazione buona aveva allungato a dismisura. Nel medio e lungo periodo un fenomeno similare si determinerà nel passaggio dalle potenze detentrici delle materie prime ‘fossili’ a quelle ‘elettriche’, cambiando gli attori (in parte) ma legando comunque la dipendenza a potenze autarchiche.
Anche i trasporti marittimi inevitabilmente dovranno ridisegnare rotte, flussi, porti, individuando per tempo opportunità derivanti da nuove chiavi di lettura del mercato economico mondiale e presidiando per tempo aree di sviluppo più interconnesse e con minori distanze dalla produzione e dal consumo. Un compito non facile, reso ancora più complesso dai venti di guerra che soffiano sull’Europa orientale e dalla ricerca di nuovi equilibri mondiali in cui l’Europa, quella attuale, non sembra in grado di recitare un ruolo da protagonista.
A fronte di tutto questo risulta sempre più meramente questione stilistica, seppur doverosa, cercare di confrontare le statistiche dei porti anno su anno: varrebbe invece la pena cercare di analizzare il loro apporto all’interno delle filiere produttive e delle dorsali di collegamento merci e persone del nostro paese da e verso il mondo. Un punto di vista appunto dinamico e non statico dove valorizzare soprattutto il valore aggiunto sia in termini economici che strategici per un paese e un’Europa che non può più limitarsi a guardare il suo ombelico.
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