Dall’assemblea Fedespedi l’attacco frontale di Olaf Merk (Ocse) ai vettori container
“L’ampia maggioranza dei trade da e per l’Europa sono operati sostanzialmente da un unico conglomerato” ha detto lasciando intendere come sia in atto un’intesa restirttiva della concorrenza
Venezia – Le grandi compagnie di navigazione che dominano il trasporto marittimo di container sono consapevolmente responsabili del caro-noli, delle congestioni portuali e delle criticità che tutto il mondo della logistica merci ha dovuto patire, e in parte sta ancora oggi soffrendo, dallo scoppio della pandemia di Covid-19 in avanti. E’ questo il senso della presentazione che ha visto protagonista Olaf Merk, noto economista al vertice dell’International Tranport Forum dell’Ocse, in occasione dell’assemblea annuale di Fedespedi appena tenutasi a Venezia.
Anticipando alcuni approfondimenti e risultanze di un rapporto sulle performance della logistica marittima che sarà oggetto di un’apposita e più ampia presentazione nel prossimo mese di giugno, Merk ha riassunto quanto avvenuto sul mercato delle spedizioni marittime negli ultimi due anni attribuendo ai vettori marittimi che controllano la stragrande maggioranza del naviglio mondiale praticamente ogni responsabilità di ciò che di negativo si è visto recentement sul mercato dei trasporti via nave.
Le slide della presentazione hanno in primis ricordato che i noli marittimi spot sono cresciuti in media di 6 volte (sul trade Asia – Europa di 5,9 volte) mentre le ‘contract rate’ (noleggi a lungo termine) in media di 2,9 volte a livello globale (5,4 volte sulla rotta Asia – Europa). A ciò, secondo il numero uno dell’International Transport Forum, vanno aggiunti vari sovrapprezzi praticati dalle compagnie con riguardo in particolare a demurrage e detention dei container. Il risultato, già ben noto agli addetti ai lavori, è che nel 2021 i profitti dei maggiori global carrier hanno raggiunto i 160 miliardi di dollari e con quei soldi gli stessi stanno facendo shopping di spedizionieri e operatori logistici sollevando “perplessità in materia di Antitrust”.
In parallelo l’affidabilità delle linee regolari è caduta a livelli record negativi, con due terzi delle portacontainer in servizio che oggi arriva in ritardo di almeno un giorno rispetto alla programmazione prevista (prima del 2019 le percentuale delle navi in ritardo era al 20%) e i ritardi in media sono di 7 giorni (contro i 4,5 pre-Covid).
Sono ‘merito’ degli armatori, sempre secondo l’economista, anche i tempi d’attesa in rada e le congestioni delle navi fuori dai porti: triplicati in media a livello globale, moltiplicati per 7 negli Stati Uniti e raddoppiati in Europa. “Questo ha a che fare con i blank sailing annunciati dai vettori marittimi e dai tempi d’attesa in banchina. I tempi per la ‘lavorazione’ delle navi sono raddoppiati negli Usa e cresciuti del 15% in Europa” ha spiegato Merk. Paradossalmente è salito il tempo di navigazione delle navi ma per un rallentamento della velocità di servizio e per la cancellazione di alcune toccate in porti intermedi. Il Connectivity index, l’indice che misura quanti Paesi siano raggiunti da linee marittime dirette (quindi senza trasbordi dei container), è peggiorato in molte parti del mondo a partire da America Latina, Europa e Africa subsahariana. Stabile invece in Nord America e Oceania.
Diversamente da quanto sostengono le compagnie di navigazione, secondo l’economista la crescita della domanda di trasporto container negli ultimi due anni è proseguita seguendo il trend precedente, senza alcun picco significativo, e il tasso di riempimento delle navi non sarebbe oggi eccezionale. “Il congestionamento di alcuni porti è dovuto alla scarsa puntualità delle navi perché questa ha comportato il mancato rispetto delle pianificazioni d’accosto in banchina” ha affermato, attribuendo così alle shipping line la causa e non l’effetto delle congestoni nei porti. Nella west cost degli Usa le navi non hanno alternative a scalare alcuni porti principali (ad esempio Los Angeles) mentre in Europa questa possibilità di servire scali secondari c’era e infatti gli effetti negativi sono stati minori.
Agli armatori l’International Transport Forum dell’Ocse rimprovera poi un “deployment di navi limitato soprattutto fra 2017 e 2020” e dunque una razionalizzazione della stiva disponibile.
Olaf Merk ha tenuto per la conclusione l’attacco frontale: “I consorzi armatoriali agiscono come ponti fra le tre alleanze di compagnie di navigazione; l’ampia maggioranza dei trade da e per l’Europa sono operati sostanzialmente da un unico conglomerato”. Questa dunque la tesi che spiega “noli in aumento costante da maggio 2020 mentre le compagnie hanno iniziato a reinserire capacità di stiva sul mercato solo da settembre 2020”.
Alcuni Governi (Usa, Cina, Corea, Australia, India e Filippinne) hanno indagato e in alcuni casi preso alcune misure; l’Europa finora è rimasta invece a guardare e, anzi, alcuni mesi fa ha detto di non aver rilevato alcun comportamento sospetto in materia di alterazione della concorrenza. Secondo Merk invece c’è “un chiaro rischio di distorsione della concorrenza” e per aumentare la competizione ha elencato alcune raccomandazioni: “Incrementare la trasparenza delle rate di nolo e delle voci che le compongono, intervenire sulle tariffe per detention e demurrage dei container, consentire un monitoraggio approfondito della concorrenza nel trasporto marittimo di container, focalizzare l’attenzione del regolatore su una corretta competizione anche nei servizi di trasporto door to door e infine riconsiderare (restringere) la possibilità per le shipping line di cooperare nella gestione congiunta della capacità di stiva impiegata sul mercato”. Nel mirino in quest’ultimo caso c’è il possibile rinnovo del Consortia Block Exemption Regulation fissato al 2024 ma contro il quale i caricatori e gli spedizionieri da tempo hanno già iniziato a dare battaglia.
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