Un’indagine dell’Authority dei Trasporti mette in luce molte critiche all’autotrasporto
Per l’Art il settore è sovvenzionato al punto da distorcere la concorrenza con altre modalità e la gestione ministeriale, dall’Albo ai costi minimi, risulta opaca e inefficiente
La sottrazione di competenza (e relativo contributo) in materia di autotrasporto, recentemente decisa e rivendicata dal vicepremier e Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, è come noto un rospo che l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (Art) ha ingoiato senza dissimulare il proprio disappunto.
Non sorprende, quindi, che la “Indagine conoscitiva sui settori dell’autotrasporto e della logistica” appena chiusa sia di fatto una fotografia impietosa di un settore ben lontano dalla vantata liberalizzazione e particolarmente interessato dagli interventi della stessa Authority in materia di accesso infrastrutturale (in primis la regolamentazione autostradale, ma anche quella portuale: si ventila l’elaborazione di “indicatori di efficienza da inserire nei rapporti concessori degli operatori terminalisti” per stimolarne l’efficienza), i due elementi con cui si è argomentata l’esclusione dell’autotrasporto dalle competenze del garante.
Le cui controargomentazioni, del resto, appaiono solide. Evidenziando come la quota modale dell’autotrasporto in Italia sia nettamente superiore a quello rivestito nelle principali economie europee a dispetto di ampie politiche di incentivazione dello shift modale, Art “rileva l’ampiezza delle sovvenzioni che sono state destinate negli anni al comparto dell’autotrasporto”, circa 1,6 miliardi di euro l’anno secondo il garante, “ha influito sulle dinamiche concorrenziali con le altre modalità di trasporto”.
Una pioggia di sussidi per la cui assegnazione, in particolare relativamente ai rimborsi dei pedaggi autostradali, “è stata incentivata la intermediazione di soggetti terzi, riconoscendo percentuali più elevate di ristoro all’aumentare dello scaglione dei pedaggi rientranti nell’ambito della contribuzione pubblica. Ciò ha contribuito a creare ‘rendite di posizione’ riducendo le risorse propriamente destinate alle imprese dell’autotrasporto”.
Il mirino – senza tralasciare una menzione della “liberalizzazione regolata” (e quindi non piena) cui è intestato il d.lgs del 2005 che regola l’accesso alla professione – si sposta sul Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sul suo ruolo nella tenuta del Ren – Registro Elettronico Nazionale, e sui suoi rapporti con l’Albo dell’Autotrasporto e in particolare col suo organo deliberante, il Comitato centrale, dove il peso della categoria, con 15 rappresentanti su 34, viene definito criticamente “rilevante”.
Le incongruenze rilevate dall’indagine sono in questo caso eloquenti: “Quasi il 90% delle imprese possiede meno di 20 veicoli ciascuna, mentre le imprese «strutturate» con più di 100 mezzi pesanti sono 542 (circa lo 0,5% sul totale delle imprese), a conferma della dimensione medio-piccola delle aziende del settore dell’autotrasporto. Circa 21.000 imprese dell’Albo Autotrasporto risultano NON avere alcun veicolo, di cui 8.179 imprese iscritte al Ren, malgrado il requisito di stabilimento preveda che l’impresa disponga di uno o più veicoli nella propria disponibilità”. E ancora, “assenza di iscrizione al Ren di imprese iscritte all’Albo con mezzi pesanti”, “proporzione di semirimorchi/rimorchi rispetto ai trattori superiore a 5:1 in violazione delle disposizioni”, “presenza di imprese che NON esercitano quale attività prevalente quella di autotrasporto per conto terzi”.
Il rischio di questa gestione da parte del Mit dell’autotrasporto è che “le risorse indirizzate a quel settore vengano in parte disperse in altri comparti, con potenziali effetti distorsivi anche sui mercati dove le imprese beneficiarie degli aiuti operano”.
Approfondita anche la disamina sul fenomeno della subvezione, con evidenze di un eccessivo ricorso a tale pratica, favorita da norme inidonee a contrastarla come sarebbe l’obbligo di stipula in forma scritta del contratto, caldeggiato da Art insieme alla generica elaborazione “di un unico strumento come il Codice dei trasporti, già presente in altre realtà europee (ad esempio, in Francia)” a risolvere la “densa stratificazione normativa, di non sempre agevole lettura per l’interprete”. Infine “dubbi significativi emergono dall’analisi dell’istituto dei valori di riferimento dei costi di esercizio per il settore, per la metodologia seguita per la loro determinazione e per l’efficacia nell’orientare il mercato”.
Insomma – è la conclusione del documento – l’indagine condotta mostra come non sia stata una buona idea sottrarre l’autotrasporto alle prerogative dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti: “Una regolazione coordinata, coerente e sinergica per i tutti i diversi settori modali del trasporto, sia pur nel rispetto delle distinte peculiarità costitutive dei diversi comparti – regolazione che costituiva obiettivo di fondo del legislatore nell’istituire, a suo tempo, un regolatore con competenze multimodali, quale è Art, inclusive anche di quelle relative al settore dell’autotrasporto merci – appare funzionale al conseguimento dei suddetti obiettivi di sviluppo sostenibile, sinergico e multimodale del sistema nazionale dei trasporti”.
A.M.
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