Clementoni ha riportato in Italia quasi tutta la produzione (con attenzione al glitter)
Dal 2019 l’azienda marchigiana ha riportato in Italia l’assemblaggio dei suoi giocattoli, ora per l’84% realizzati a Reacanati
Milano – Radicata in Italia, benché fortemente proiettata sui mercati internazionali, Clementoni ha deciso negli anni scorsi di riportare nella Penisola gran parte della produzione dei suoi famosi giochi. Una scelta che però si è comunque accompagnata alla necessità, per l’azienda maceratese, di avere al suo fianco e al suo interno professionisti specializzati sul tema fiscale e nello specifico all’ambito doganale.
“Il percorso di reshoring della produzione per noi è iniziato già nel 2019. Ad oggi l’87% dei giochi è realizzato a Recanati – ha ricordato Rita Bucchi, direttrice finanziaria e amministrativa dell’azienda, nel corso del primo Forum del Commercio internazionale, organizzato da Arcom Formazione, che si è svolto ieri a Milano. La rilocalizzazione “ha cambiato i processi”, ma non ha fatto venire meno la necessità di importare. “Oggi non importiamo prodotti finiti ma componenti” ha spiegato Bucchi, attività che comunque richiede competenze e attenzione particolare sul fronte doganale, come è apparso evidente in occasione della recente entrata in vigore della normativa Ue sulle microplastiche, facendo scattare in particolare già lo scorso 17 ottobre il divieto per il glitter.
Per l’azienda marchigiana la sua entrata in vigore ha sollevato una serie di punti di domanda rispetto alla gestione di prodotti contenente il materiale già presenti in magazzino, alla definizione di “immissione sul mercato” e altro ancora, a cui appunto l’azienda sta cercando di rispondere grazie al supporto di professionisti specializzati. Tra i dubbi che sono sorti, quello relativo alla alla gestione dei prodotti, contenenti microplastiche glitter, già in magazzino ma non ancora ordinati, una criticità particolarmente avvertita considerando che Clementoni prevedibilmente sviluppa l’80% del fatturato con le vendite per il Natale e che, spiega Bucchi, gli ordini, inclusi quelli da piattaforme come Amazon, tardano sempre più ad arrivare perché i rivenditori “tendono ora a far fare a noi magazzino”.
Il punto di vista delle aziende alle prese con import ed export è stato rappresentato durante il convegno anche da Martina Stella, direttore generale di Confindustria Nautica, che ha portato innanzitutto gli eccezionali numeri relativi al settore. In sintesi: crescita a doppia cifra del fatturato negli ultimi 6 anni a eccezione del 2020, ed export record a 2,73 miliardi nel 2022, per un peso sul totale delle vendite dell’88%, a fronte di un mercato interno che pure si sta rivelando in crescita. “Realizziamo prodotti che uniscono varie eccellenze del made in Italy, che fanno leva su filiere corte e concentrate geograficamente. Il nostro settore quindi, benché non sia stato esente dalle difficoltà legate ad esempio agli aumenti del costo dell’energia, ha risentito meno di penalizzazioni derivanti dalle tensioni geopolitiche o delle interruzioni delle supply chain globali”.
La prospettiva degli operatori logistici è stata espressa infine tra gli altri da Nazzarena Franco, amministratore delegato di Dhl Express Italy. “Noi lavoriamo a supporto delle aziende, tra cui quelle già orientate all’export, che magari vogliono esplorare nuove tratte, e che devono approvvigionarsi. Con la pandemia peraltro vediamo che molti clienti che avevano flussi consolidati per le forniture sempre di più scelgono di modificarli, di anno in anno ma anche di stagione in stagione”. Ma il lavoro di Dhl, ha aggiunto Franco, è anche a supporto di “quelle piccole, che non hanno struttura e hanno magari conoscenze limitate”.
In generale, ha aggiunto sul punto il presidente di Fedespedi Alessandro Pitto, spesso le aziende che esportano hanno pochi addetti, e quindi “magari non hanno al loro interno figure come quella del tax manager”. Pertanto, “anche noi (spedizionieri e operatori logistici, ndr) dobbiamo sempre più evolvere e trasformarci in consulenti al servizio delle aziende, con le quali instaurare rapporti di partnership”. Questo, ha aggiunto Pitto, anche per “evitare rischi sanzionatori in caso di mancata compliance, che possono essere anche pesanti, dal blocco della merce a possibili ripercussioni anche penali”.
F.M.
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