I caricatori del Nord Est d’Italia sempre più preoccupati per l’impatto della guerra in Medio Oriente
Forti dilazionamenti delle consegne e mancanza di container vuoti nei porti fra i problemi da affrontare; previsti anche aggravi di traffico e costi su strade e ferrovie
Gli sconvolgimenti causati dalla guerra in Medio Oriente che impattano sui traffici marittimi nel Mar Rosso dati i bombardamenti subìti dai mercantili e i contrattacchi delle forze americane e britanniche, cominciano a essere avvertiti nei porti italiani, in particolare quelli più lontani dall’istmo di Suez che segnalano la mancanza di arrivi di portacontainer.
La preoccupazione è stata segnalata da Luca Fiorini, titolare della Fiorini Omnia Service nonché presidente della sezione Trasporto, Logistica e Portualità di Confindustria Veneto Est che ha descritto a Il Gazzettino la situazione che sta vivendo il porto di Marghera: “La crisi abbiamo iniziato a vederla un mesetto fa, sia per quanto riguarda le materie prime che per i prodotti finiti. Il punto è che, complice anche l’atmosfera natalizia, la cosa è passata sotto traccia e solo ora il sistema stesso sta iniziando a prendere consapevolezza dei contraccolpi. D’altra parte, anche se geograficamente lontano, quanto sta succedendo riguarda la nostra vita. E il peggio ce lo aspettiamo adesso”.
Fiorini ha inoltre descritto l’esperienza che ha vissuto direttamente con la sua azienda: “Purtroppo ci stiamo rendendo conto in prima persona di cosa sta accadendo a Suez: due nostri container, prenotati per conto di un esportatore italiano, sono stati colpiti durante l’attacco della nave Al Jasrah 028E (linea di navigazione porta container Hapag Lloyd)”.
Secondo il presidente Fiorini sono due i grossi problemi che potrebbero anche peggiorare con l’inasprirsi ulteriore della crisi: “Il primo è stato ed è comunicare ai clienti un dilazionamento dei tempi di consegna che mediamente è già di oltre un mese. Potrebbe persino andare peggio se il Mediterraneo fosse tagliato fuori come si può ragionevolmente temere: già ci sono due colossi cinesi e coreani che hanno deciso di saltare l’Italia e andare a Rotterdam e Amburgo. In questo caso i 30 giorni diventeranno 60. Si provi a immaginare cosa voglia dire per le consegne e le distribuzioni, che potranno andare in tilt. Il secondo problema – sottolinea Fiorini – è l’altra faccia della stessa medaglia: non ci saranno più container vuoti, nei porti italiani, necessari per l’export. C’è chi comincia ad adottare soluzioni di trasporto combinate, ad esempio tra nave e aereo, ma costano di più e i costi fatalmente vanno a colpire il consumatore. Senza dimenticare che ci sono compagnie di navigazione che, già in difficoltà nel 2023, hanno trovato l’occasione giusta per gonfiare i costi di trasporto. Siamo nell’incertezza più totale”.
Anche Andrea Scarpa, presidente di Assosped Venezia, associazione composta da circa quaranta ditte di spedizione presenti al porto commerciale veneto e titolare della società Archimede Gruden, si è detto preoccupato per le prospettive: “Difficile immaginare cosa possa succedere. Dobbiamo fare i conti con una realtà in continuo e rapido mutamento: certo è che se le navi non arrivano più nei porti italiani, bisognerà lavorare sulle alternative che giocoforza saranno l’aumento del traffico stradale e ferroviario per i trasporti, con conseguenti ritardi, costi più alti, maggiori rischi per la sicurezza e inquinamento, alla faccia dell’Italia green. Ora tutti si stanno accorgendo di cosa sta capitando in quella zona del pianeta e cosa potrebbe comportare per noi. Ma è anche vero che la crisi era già iniziata l’anno scorso con i noli finiti, in buona sostanza, sulle montagne russe: da 15mila euro a container da 40 piedi si era scesi a dieci volte di meno, adesso è in atto il processo esattamente opposto. Un saliscendi difficile da gestire. Ne deriva un’alterazione dei meccanismi di domanda e offerta del mercato che ci sta spiazzando tutti e di fronte alla quale non sappiamo cosa fare. Aspettiamo di capire quale sia la via d’uscita”.
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