Terminalisti portuali ancora soccombenti di fronte ad Art
Assiterminal e 12 società sconfitte in appello: il contributo al garante è un obbligo
Malgrado le numerose sentenze sfavorevoli, alcuni terminalisti portuali e l’associazione di categoria Assiterminal hanno nuovamente provato a mettere in discussione la debenza, da parte di tali imprese, del contributo annuo all’Autorità di regolazione dei trasporti, risultando nuovamente sconfitti.
Il Consiglio di Stato, infatti, ha respinto l’appello proposto da Assiterminal e Apm Terminals Vado Ligure, Reefer Terminal, Stazioni Marittime, Vecon, Venezia Terminal Passeggeri, Terminal Napoli, Europea Servizi Terminalistici, Psa Genova Prà, Terminal Internodale Venezia, Terminal Rinfuse Venezia, Gruppo Messina, Terminal Contenitori Porto di Genova, contro una sentenza del Tar di Torino del 2020.
Sono gli stessi giudici a ricordare “tra le tante pronunce in tal senso” la sentenza da essi stessi emessa lo scorso novembre, quando si specificò che “non è in discussione la soggezione dei terminalisti portuali all’obbligo di contribuire al finanziamento dell’Art, obbligo, peraltro, la cui sussistenza, a partire dall’anno 2019, è già stata riconosciuta da questa Sezione con plurime sentenze che il Collegio condivide. Anche in vigenza del ‘nuovo’ art. 37 (riferimento ad una modifica del 2018 alla legge istitutiva, ndr) i terminalisti portuali possono risultare soggetti all’applicazione del comma 6, tenuto conto, da un lato, della più ampia individuazione dei destinatari della norma, genericamente riferita agli ‘operatori economici operanti nel settore del trasporto’; dall’altro, della competenza dell’Art ad intervenire anche nel settore portuale, specificamente per quanto riguarda l’accesso alle relative infrastrutture (…). E i terminalisti portuali sono i soggetti autorizzati dalle Autorità di sistema portuale, ai sensi dell’art. 16, comma 3, l. 84/1994, a svolgere le operazioni portuali e i servizi portuali di cui al precedente comma 1, avvalendosi in particolare delle infrastrutture oggetto di concessione da parte delle medesime Adsp”.
Ma anche per ciò che concerne il periodo preriforma – quando erano assoggettabili solo operatori di settore in cui Art fosse intervenuta – “appare provato come la concreta attività di regolazione sia stata avviata anche antecedentemente alla riforma di cui al d.l. 109 del 2018, momento dal quale – per quanto prima evidenziato – il contributo è diventato concretamente esigibile dalle imprese di categoria”.
Cassato anche il secondo motivo di impugnazione, attinente alla proporzionalità del contributo (0,6 per mille del fatturato) e al presunto (dai terminalisti) diritto di escludere dal fatturato posto alla base del calcolo quello realizzato verso clienti esteri: “Non ricorrono concreti motivi per dubitare che l’imposizione del contributo alle imprese che aderiscono alle associazioni appellate possa determinare, in territorio italiano, una distorsione del relativo mercato e una alterazione della concorrenza: sia nel senso che non pare essere un contributo così gravoso da determinare l’uscita dal mercato di alcune delle imprese interessate, sia nel senso che comunque si tratta di un obbligo imposto indistintamente a tutte le imprese che erogano i servizi di che trattasi, ragione per cui non si comprende proprio quali sarebbero le imprese, operanti nel medesimo mercato, che potrebbero trarne vantaggio, posto che tutte le imprese, italiane e straniere, sono tenute al pagamento del contributo sul fatturato prodotto (solo) in Italia”.
A.M.
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