La maggior parte dei clienti europei (53%) di Maersk pensa al nearshoring
Mentre il 76% lamenta ancora criticità nelle supply chain, Turchia, Egitto e Polonia sono le mete preferite per una rilocalizzazione degli approvvigionamenti
Negli ultimi 12 mesi, le criticità nelle supply chain hanno rappresentato un problema, dalle ripercussioni anche finanziarie, per il 76% dei clienti europei di Maersk. Lo segnala il gruppo danese a valle di una indagine condotta tra oltre 2.000 realtà che si sono avvalse dei suoi servizi.
Secondo la ricerca, il 22% degli intervistati ha esperito oltre 20 incidenti di questo tipo nel corso dello scorso anno, mentre circa un terzo delle aziende ha avuto difficoltà nel reperire i materiali necessari per la produzione. Oltre la metà degli intervistati – precisamente il 58% – ha affermato che le interruzioni riscontrate nelle catene di fornitura hanno causato costi molto più elevati di quanto previsto.
Secondo Maersk, l’indagine in conclusione suggerisce chiaramente che il contesto logistico, nonostante la crisi pandemica sia finita da un pezzo, è ancora fonte di discontinuità per le aziende, in particolare a causa del numero crescente di crisi geopolitiche e per gli eventi avversi generati dal cambiamento climatico. Il primo fattore in particolare è indicato dall’80% dei clienti di Maersk interpellati dall’indagine come il principale elemento di crisi delle supply chain.
Un altro spunto interessante emerso dalla indagine riguarda la ricerca di nuovi contesti produttivi da cui attingere per gli approvvigionamenti.
Ben il 53% del campione ha detto di considerare questa possibilità, e il 33% di valutare in particolare paesi europei o vicini all’Europa. La preferenza va alla Turchia, che raccoglie l’11% dei consensi. Al paese Maersk riconosce non solo la prossimità al Vecchio Continente, ma anche la presenza di una forza lavoro formata ed economicamente conveniente, infrastrutture moderne, l’esistenza di accordi di interscambio con la Ue e una base industriale diversificata. Le aziende che intendano servirsi di fornitori turchi, evidenzia, dovranno considerare però come potrà essere percepito il marchio ‘made in Türkiye’ dai consumatori europei (secondo l’indagine, l’impressione è positiva sul 29% dei norvegesi e sul 16% dei tedeschi, per esempio).
Dopo la Turchia, un altro paese indicato è l’Egitto (con il 7% delle preferenze), secondo paese africano per volumi di traffico container, con infrastrutture e investimenti logistici in crescita. Seguono Polonia (6%), Marocco (3%) e Romania (2%). Il report di Maersk evidenzia come più in generale le aziende europee stiano lavorando per diminuire la loro dipendenza dalla produzione asiatica: sebbene l’autosufficienza del continente sia “una idea distante”, ha rilevato però come l’export intra-europeo di beni sia cresciuto negli ultimi anni, salendo dai 2,9 trilioni di dollari del 2020 ai 4,1 trilioni del 2023.
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